Notevole interesse e sensibilità riguardo il Sinodo minore registra il responsabile della Pastorale diocesana dei migranti, che presenta la celebrazione di apertura del 14 gennaio e i passaggi successivi: «Nella prima fase sarà importante far parlare le persone»
di Luisa
BOVE
La data di apertura del Sinodo minore «Chiesa dalle genti» – domenica 14 gennaio, che coincide con la Giornata mondiale del migrande e del rifugiato -, non deve trarre in inganno. A dirlo è don Alberto Vitali, responsabile della Pastorale diocesana dei migranti, «perché il Sinodo non è dedicato al tema dei migranti e dei rifugiati, termini che peraltro bisognerebbe imparare a distinguere, ma è sulla Chiesa che si ricomprende a partire dal fatto che da qualche decennio arrivano fedeli immigranti e battezzati. La fisionomia stessa della Chiesa è già cambiata. All’inizio l’obiettivo era di riformare il capitolo 14° del Sinodo 47°, poi ci siamo accorti che il discorso era più ampio».
La celebrazione di apertura del Sinodo sarà una liturgia della Parola, con letture e canti, oltre all’intervento dell’arcivescovo Mario Delpini. «Il primo canto sarà eseguito dal Coro Elikya diretto dal maestro Raymond Bahati, l’ultimo dai filippini, mentre il Gloria e le invocazioni allo Spirito Santo saranno cantati dalla Corale di Sant’Ambrogio». In Basilica saranno infatti presenti anche tutte le comunità di migranti e anche loro riceveranno il mandato. All’interno, da parte della base (migranti e italiani), non c’è ancora la percezione di questo lavoro, ma si avrà a partire dalla prima fase di consultazione che si concluderà a Pasqua. «All’esterno invece – aggiunge don Vitali – qualche facoltà teologica ha chiamato monsignor Bressan perché è interessata a seguire i lavori sinodali».
L’elaborazione del testo da parte della Commissione non è stata facile, spiega il responsabile della Pastorale dei migranti: «A volte gli stessi termini li usiamo in modo diverso, basta pensare anche alla differenza tra un approccio pastorale e un approccio sociologico con cui affrontare il tema. Certo, avremmo avuto bisogno di più tempo per affinarci anche sul linguaggio».
Ora la Commissione resterà a disposizione perché presto ci sarà una ricaduta sui Decanati e sulle parrocchie, per cui un parroco o un Decano potrebbero chiedere che qualcuno dei membri vada a spiegare il documento sinodale alla comunità. «Nei prossimi tre mesi in teoria siamo in standby – nota don Vitali -, ma appena torneranno le risposte, dovremo fonderle per preparare i due primi documenti da inviare ai Consigli presbiterale e pastorale, in modo che li discutano nelle loro sessioni di giugno». Poi le osservazioni dei Consigli torneranno alla Commissione, che redigerà un documento unitario da presentare all’Assemblea dei decani all’inizio di settembre. In seguito, tenendo conto delle ulteriori osservazioni, verrà redatto il documento definitivo che sarà votato il 3 novembre, poi l’Arcivescovo firmerà il decreto e sarà reso ufficiale.
«Le aspettative sul Sinodo sono molto alte – assicura don Vitali -. I preti, in genere, sono molto sensibili alla questione. Dico “questione” e non problema, perché andando in giro a parlare in questi ultimi due o tre anni, quello che mi ha stupito è l’interesse e la sensibilità da parte dei sacerdoti perché vivono la situazione in parrocchia». La presenza di cattolici migranti è vista «positivamente» e a volte le stesse comunità chiedono di essere aiutate a elaborare iniziative pastorali per i migranti. E non è facile rispondere a tutte le richieste.
Secondo don Vitali la presenza di migranti a Milano non fa problema, mentre man mano che ci si allontana dalla città si nota «molta più ansia». Questo fa capire come anche all’interno dello stesso territorio diocesano si vivano situazioni molto diverse. «Per questo nella prima fase del Sinodo è importante far parlare le persone, perché tirino fuori tutte le paure, tutti i timori, tutti i luoghi comuni che comunque si portano dentro», spiega don Vitali. Il responsabile diocesano si aspetta però che dopo questa fase iniziale, si prenda coscienza che il Sinodo «è un’occasione, non tanto per integrare i migranti, che è la mia grande paura, perché non dobbiamo portarli a fare cose che neppure noi viviamo più, ma per prendere consapevolezza che le parrocchie sono già cambiate, a prescindere dai migranti, perché comunque i giovani di oggi, anche quelli che frequentano l’oratorio, non sono più come eravamo noi 20-30 anni fa. Questo Sinodo può diventare l’occasione per ripensarsi, per riscoprire energie nuove, che pure abbiamo, ma di cui non siamo consapevoli». Insomma, taglia corto don Vitali, «spero che alla fine se ne esca con un sospiro di sollievo e con un po’ di incoraggiamento per riprendere il cammino».