Già cappellano nell’ospedale di Gallarate, duramente colpito da Covid, da qualche mese è tornato a casa, dove sta seguendo il percorso di riabilitazione. La sua testimonianza, dalla solitudine e dalla dipendenza vissute durante il ricovero al conforto che viene dalla preghiera: «Mi fa sentire la presenza di Dio nella mia vita»

Don Gianluigi Peruggia
Don Gianluigi Peruggia

Don Gianluigi Peruggia, presbitero della Diocesi di Milano, membro della Consulta diocesana di pastorale della salute, si è dedicato per anni all’assistenza spirituale delle persone in cure palliative e riabilitative. Ha svolto il servizio di cappellano nell’ospedale di Gallarate ed è attualmente prete residente nella Comunità di San Cristoforo in Gallarate. Colpito da Covid, ha trascorso un duro periodo di malattia. Da qualche mese è tornato a casa

Don Gigi, è passato quasi un anno dall’inizio della tua vicenda di malattia. Ci racconti questa esperienza?
Ho trascorso quattro mesi in ospedale e due in una clinica per la riabilitazione. Sono stato ricoverato per Covid. Ho attraversato pesantemente le fasi della cura dalla terapia intensiva al reparto pneumologico semi-intensivo. Del primo periodo ho ricordi molto vaghi, spesso soffrivo di allucinazioni che mi portavano a credermi protagonista di diversi incontri in diversi luoghi, mentre chiaramente non mi spostavo dal letto di degenza. Questi pensieri erano un misto di speranza e di disorientamento. Mi dicono che ho avuto gravi complicazioni mediche, come shock settici e trombosi, ho dovuto fare l’esperienza della peg (che ancora utilizzo per nutrirmi) e della ventilazione attraverso la tracheostomia. Il sentimento di quel periodo era la solitudine, mi sembrava di non avere sufficienti informazioni: se anche mi venivano date, poi le dimenticavo. Il fatto di essere accudito per i bisogni più elementari mi costringeva a una rassegnazione mai provata prima. Ho potuto constatare la professionalità del personale sanitario, pur notando a volte qualche momento di fretta, penso dovuto ai carichi di lavoro inaspriti dalla pandemia. Il pensiero religioso era molto condizionato dallo stato generale, veniva a tratti come una traccia che mi permetteva di mantenere un rapporto con il mio essere cristiano e prete.

E la fase successiva della riabilitazione?
È stato un altro periodo di dipendenza, con la fatica di dover recuperare i movimenti muscolari compromessi da grave neuropatia. Ho potuto socializzare un po’ di più, ma rimaneva pesante il fatto di essere ricoverato in una struttura peraltro accogliente e con prestazioni riabilitative di ottima qualità. In questo periodo è stato essenziale l’aiuto di persone amiche che si sono occupate delle mie necessità e dell’organizzazione del mio rientro a casa, piuttosto complesso con ausili vari, nutrizione artificiale, dipendenza in tutte le attività.

Da qualche mese, dunque, sei a casa…
Sì e sto proseguendo la riabilitazione. Ho anche beneficiato del lavoro di un’équipe di cure palliative durante un periodo un po’ complicato tra novembre e dicembre. Sono assistito da un badante competente poiché i bisogni sono ancora tanti e articolati nella giornata, e sono sostenuto dalla presenza di amici con i quali condivido momenti  di svago e di preghiera e che si occupano delle varie incombenze burocratiche. Ci siamo ben organizzati per ridurre i rischi di contagio tra noi: ci tengo a precisarlo, avendo provato cosa può causare questa malattia. Ho dovuto rinunciare con rincrescimento al mio impegno di cappellano, ma devo dire che adesso capisco “da dentro” le fatiche dovute alla malattia e alla dipendenza da altri. Ora che sto un po’ meglio sto cercando un nuovo equilibrio per poter proseguire la mia storia personale ed ecclesiale e cercare modi diversi di svolgere il mio ministero. La preghiera mi aiuta molto a farmi sentire quotidianamente la presenza di Dio nella mia vita. I messaggi e le telefonate di persone delle varie comunità e delle associazioni di volontariato e la vicinanza dei miei confratelli mi hanno comunicato affetto e stima, mi hanno fatto sentire parte importante, seppur fragile, della Chiesa.

Un preghiera che ti è cara…
L’inizio del Salmo 41: «Beato l’uomo che ha cura del debole… il Signore lo sosterrà sul letto del dolore; tu lo assisti quando giace ammalato».

In questo periodo di attese e paure, cosa ti senti di trasmettere?
La speranza. Sempre apparentemente piccola, ma capace di sostenere ogni cammino e di contenere e schiarire le nostre paure. A questo proposito concludo con i versi di una filastrocca scritta per bambini ma, secondo me, utile a tutti!

Nella casa della paura
sembra inchiostro l’acqua pura,
sembra un pipistrello il fiore,
i minuti sembrano ore.

Nella casa dello spavento
sembra molle il pavimento,
sembra un rospo la saliera,
un serpente la ringhiera. 

Lunedì da casa mia
la paura è andata via
e le cose sembran cose
e le rose sono rose.

 Martedì dalla mia casa
se n’è andato lo spavento:
cento amici l’hanno invasa,
han portato luce e vento!

R. Piumini

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