Da tre anni fidei donum nel Maranhao: «La proposta è giunta inaspettata e mi sono chiesto: perché non andare a dare una mano? Sono partito e sono contento di averlo fatto»
Don Mario Magnaghi, nato il 21 giugno 1941 ad Abbiategrasso e nel 1967 ordinato sacerdote a Milano, dal 2017 è fidei donum in Brasile nella Paroquia S. Francisco De Assis di Arame in Maranhao. Recentemente è stato intervistato da Radio Marconi nello spazio dedicato ai missionari.
Come è maturata per lei la scelta di partire? Tra l’altro in età così avanzata?
Ero stato mandato come vicario parrocchiale a Fagnano Olona e in quel periodo l’arcivescovo cardinale Scola diede la possibilità ai sacerdoti ambrosiani, se volevano, di andare in questa missione del Brasile. Avevo avuto l’idea di fare il missionario quando ero in Seminario, scrissi anche all’allora arcivescovo cardinale Montini. Mi rispose con una letterina che conservo gelosamente, in cui mi rivolgeva la preghiera di pensare a come la nostra Diocesi sia proprio un campo missionario molto importante. Così sono rimasto. Inaspettatamente alla mia età poi è venuta fuori questa proposta e mi sono chiesto: perché non andare a dare una mano? Sono partito e sono contento di averlo fatto.
Quali sono le differenze sociali ed ecclesiali che ha trovato?
Qui la gente raramente sa scrivere e leggere per cui la comunicazione con le persone non è stata immediata. Ma andavo a trovare gli ammalati e loro di questo sono rimasti molto contenti. Il territorio è grande più o meno come la Lombardia e si contano una quarantina di comunità molto piccole e sparpagliate raggiungibili attraverso strade di terra. Nel Maranhao la pastorale è andata avanti soprattutto con lo stile dei frati Cappuccini che passavano, predicavano, battezzavano, confessavano, celebravano, univano in matrimonio e poi ripassavano chissà, dopo sei, otto mesi, un anno. Attualmente invece la Chiesa locale sta investendo su una pastorale parrocchiale però è molto faticoso il passaggio, soprattutto perché i preti del posto non ne hanno ancora un’idea chiara.
Forse in Brasile c’è anche un modo diverso di vivere la religiosità stessa?
I brasiliani hanno una gratitudine innata verso chi presta loro attenzione e ce l’hanno verso Dio, che è Padre misericordioso, buono, che può tutto e che quindi certamente vuole il tuo bene, ti aiuta nel bisogno e ti perdona anche. Però questo tipo di apertura al soprannaturale porta anche a un disastro dal punto di vista morale, innanzitutto familiare con ragazzi affidati alla nonna, genitori divisi, fratelli sparsi in diversi paesi, abusi… E poi l’altra cosa, questa mi ha davvero lasciato molto sorpreso: praticamente se uno vuole vendicarsi di una persona assume un pistolero, che lì è un po’ come un’istituzione. È una situazione che non dico che universalmente è accettata, ma si sa che c’è. Comunque l’animo brasiliano assomiglia un po’ a quella di un bambino e se Gesù dice che bisogna essere come i bambini per entrare nel Regno dei Cieli penso che loro ci entreranno molto facilmente.
Dunque per lei vivere con queste persone da anziano prete è quasi il coronamento della sua vocazione missionaria?
Sì è stata una grande fortuna, proprio perché ho incontrato la religiosità di questa gente e la loro gratitudine. Ho incontrato i loro bambini, lì di bambini ce ne sono un mucchio e sono tutti sempre disposti a farti festa, sono sempre disposti a sorridere, una cosa che da noi non è così facile. Vorremmo aprire un oratorio, non ce ne sono altri in Brasile, almeno nel Maranhao, e anche un centro sociale. E questo luogo si è già movimentato, vi ho mandato un’immagine (la foto in alto) che ritrae un’aula di questo progetto dove ci sono persone che stanno fabbricando e stanno confezionando le mascherine da distribuire gratuitamente alla gente povera della città. Per cui è una realtà così, che ha tanti problemi ma che ha dentro un animo forte.