Alla vigilia del convegno che il 14 ottobre a Seveso ricorda i trent’anni di presenza in Diocesi parla il rettore per la Formazione: «La Chiesa non propone il ministero diaconale solo perché scarseggiano le vocazioni al sacerdozio: le due figure si completano a vicenda»
di Ylenia
SPINELLI
Quest’anno ricorrono i trent’anni dalla reintroduzione del diaconato permanente nella nostra Diocesi. Era il 31 marzo 1987 quando il cardinale Carlo Maria Martini nominava il primo Rettore responsabile. Un anniversario importante che verrà ricordato con un convegno, il 14 ottobre presso il Centro pastorale di Seveso, cui parteciperà anche l’arcivescovo Mario Delpini.
Ma come è cambiato in questi decenni il ministero diaconale? Ne parliamo con don Giuseppe Como, dal 2012 rettore per la Formazione al diaconato permanente.
Oggi il diaconato ha una maggiore visibilità?
Certamente! Ed è cresciuta la consapevolezza del suo inserimento nella pastorale diocesana; destinando i diaconi fuori dalla propria parrocchia è ancor più vivo il senso della missione ecclesiale, inoltre si sono allargati gli ambiti di presenza dei diaconi.
Cosa ricorda di quel lontano 1987, quando Martini mosse i primi passi per la reintroduzione del diaconato?
Allora ero ancora seminarista, sinceramente non ricordo che l’eco della nomina del primo Rettore responsabile del diaconato permanente fosse particolarmente sentita; essa fu “figlia” del Convegno di Assago dedicato al “Farsi prossimo”, che invece ebbe una notevole attenzione anche in Seminario.
Le intuizioni nate alla fine degli anni Ottanta hanno ancora valore?
Questo sarà il tema della relazione preparata per il convegno da monsignor Tullio Citrini, uno dei protagonisti di quella stagione. Rileggendo alcuni testi del primo rettore, don Emilio Ferrario, trovo molto attuale l’intuizione che sia la comunità cristiana, nel discernimento guidato dai suoi pastori, a individuare i bisogni cui potrebbe far fronte un ministero diaconale e a segnalare uno dei suoi membri per questo compito.
Cosa distingue il ministero diaconale da quello sacerdotale?
Il diacono riceve, al pari del presbitero, il sacramento dell’ordine, però non celebra l’Eucaristia e non confessa i fedeli. Ma questa è una definizione sostanzialmente negativa. Aggiungerei che, mentre il sacerdote è segno nella Chiesa di Cristo capo della Chiesa stessa, il diacono rinvia invece a Cristo servo. Le due figure si completano a vicenda, e per quanto riguarda il diacono, egli starà sempre lì a dire che anche il governo, o la leadership, per un cristiano è servizio.
Negli anni è cambiata l’età dei diaconi?
Non credo sia possibile individuare una linea di tendenza evidente, tuttavia la novità è stata l’introduzione del limite di età (55 anni) per la presentazione al cammino di formazione. Oggi i diaconi ambrosiani sono 142, hanno un’età media di 63 anni, il più giovane ne ha 35 e il più anziano 84. I celibi continuano a essere il 20% circa del totale, mentre il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi è esattamente del 50%.
Cosa spinge oggi un uomo celibe a scegliere la vocazione diaconale?
I percorsi che portano un cristiano adulto celibe a scegliere il diaconato sono spesso lunghi, portano con sé una lunga maturazione; chi intraprende questa strada avverte come significativa la propria presenza di battezzato nel mondo del lavoro e inoltre ha una particolare sensibilità per la dimensione diocesana del servizio ecclesiale.
Per un uomo sposato esercitare il ministero è più complicato?
Nell’organizzazione dei tempi e dei ritmi di vita, sicuramente è più complicato per un diacono coniugato, soprattutto se ha figli piccoli; non c’è dubbio però che il ministero si arricchisca dell’esperienza della vita di coppia e familiare.
Con il loro servizio i diaconi hanno “supplito” alla mancanza di preti?
Inevitabilmente questo è successo e continua a succedere, anche se col tempo è apparso sempre più chiaro che il diacono ha una sua funzione specifica e non deve semplicemente sostituire il prete che non c’è. La Chiesa non propone il ministero diaconale per il semplice fatto che scarseggiano le vocazioni al sacerdozio.
Quali gli ambiti in cui oggi c’è più bisogno di diaconi?
Alcuni sono ambiti nei quali spesso non è facile percepire il bisogno della figura diaconale, anche se farebbe realmente crescere la Chiesa, penso alla pastorale familiare o della carità a livello decanale. Anche accanto ai profughi e agli immigrati, nelle carceri e nei cimiteri il ministero diaconale potrebbe essere ancora più efficace, come nell’ambito delle famiglie in situazioni difficili o nel settore della cultura.
Ogni tanto all’interno della Chiesa si solleva l’ipotesi di un diaconato al femminile: cosa ne pensa?
Non sappiamo ancora con certezza se un vero e proprio diaconato femminile sia mai esistito nella Chiesa, in ogni caso è una domanda che dobbiamo porre pensando alla Chiesa del futuro, non pensando di “riesumare” figure del passato. Dobbiamo stare attenti a non correre il rischio di concentrare sulle “diaconesse” il discorso del riconoscimento e della promozione della presenza delle donne nella Chiesa, che invece dovrebbe interessare anzitutto le strutture pastorali che ci sono già.