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Redazione
Oggi posso scegliere io e decido di tornare tra le baracche di Solborn, là dove una volta ho rischiato un colpo di sole, proprio celebrando una Messa all’aperto. E’ sempre domenica mattina con strade quasi deserte. Sono però costretto a rallentare e anche a fermarmi dopo circa 10 chilometri: c’è una gara di motocross internazionale, con i tifosi sui tetti delle macchine o dei camioncini per gustare lo spettacolo, senza pagare.
In parrocchia a Kafue Estate chiedo il permesso a don Antonio Novazzi e mi faccio accompagnare da Filippo, che salta subito al volante da esperto autista: lo conosco da sempre e lui conosce tutte le buche che portano alle baracche!
Qualcuno sapeva del mio ritorno, compresi i chierichetti. Non si prega più sotto un albero e nel fango, ma c’è una bella cappella per 300 posti, quasi tutti pieni. Stanley, il “vecchio” maestro di coro ha lasciato il posto a sua figlia, ma la liturgia è sempre accompagnata bene con tanto di guida, di lettori e di ministro straordinario della comunione.
C’è una piccola sacristia e si entra in chiesa con una processione, naturalmente sarà nella lingua locale, anche se tra i fedeli ci sono persone d’origine tanzaniana o rhodesiana. E’ sempre una Messa cantata e ciò mi permette alcune distrazioni: salutare un vecchio amico con un cenno del capo, guardare i colori delle divise dei gruppi: rosso, azzurro, verde, bianco, striato arancio con decorazioni e le immancabili tipiche “gonne” con simboli religiosi.
Qui i bambini sono attenti e c’è un piccolino che continua felicemente ad entrare e uscire di chiesa, senza che nessuno si senta disturbato. Tanti s’inginocchiano per ricevere la Comunione. Non so da dove ma anche qui sbucano regali per me, una bottiglia d’olio di mais e un sacco di 25 chili di farina bianca. Riesco un po’ a ringraziarli distribuendo più di cento corone del Rosario ai grandi e centinaia di immaginette di Gesù Bambino ai piccoli.
Ma un Gesù Bambino nero me lo vogliono proprio fare vedere. Sempre Filippo a spingermi: «Venga a casa di mio fratello, c’è il piccolo Giovanni Paolo nato da quindici giorni, ha il nome del Papa». Vado volentieri attraverso il povero quartiere di case fatte con mattoni d’argilla con povere lamiere per tetto e per servizi igienici una capannuccia di paglia. Ci vuole qualche momento per abituarmi al buio della casetta, ma finalmente vedo un bel bambino, grassottello, tutto vestito, calzini compresi, adagiato su un divano ricoperto da drappi ricamati. Conosco bene anche la mamma che teneramente mi passa il bambino che ha gli occhi aperti dolcemente.
Il flash rompe il buio per la prima foto a Giovanni Paolo. Potrebbe diventare il primo Papa nero? La seconda foto è scattata all’aperto con tutta la famiglia: quattro signorinette e due maschi, con genitori attorno ai quarant’anni. « Lavori ancora alla fabbrica delle scarpe Bata?». «Sì, anche se abbiamo passato periodi duri, mesi di chiusura e nuovi padroni. Una delle mie ragazze è in prima liceo». Il piccolo Gesù Bambino nero si è addormentato proprio sulle spalle della sorella maggiore, la studentessa.
IL VALORE DI UN PEZZO DI TERRA
Ne ho di polvere da mangiare e di sobbalzi da fare nel raggiungere un villaggio vero, quello di capanne, a Mungu. Ne approfitto per parlare con il mio autista dei nuovi problemi della gente. «Ha visto la casetta di mio fratello? Anch’io abito in una simile, non ce la facevo più a pagare l’affitto, anche se come autista ho una discreta paga. Ma ora ci vogliono cacciare via tutti, così perderemo le nostre casette vicino al fiume (anche la pesca serve per mantenere una famiglia) e il nostro campo di granoturco. Basta zappare con voglia e i risultati si vedono con otto sacchi di farina a stagione. La terra è in vendita e chi può comperarla? Chi ha i soldi e sono quelli del governo, oltre agli indiani e i nuovi arrivati cinesi. Ho già passato sei giorni in prigione per una protesta che ho guidato, occupando la terra!».
Sento la convinzione delle sue idee, senza cattiveria, sa che cosa è la vita, si è fatto giorno dopo giorno, con tenacia. Il viaggio è ancora lungo, si parla ora di calcio: «E’ vero che ha portato dall’Italia venti paia di scarpe da pallone? Ci penso io ad organizzare due partite per domenica prossima, chiamerò i “madala”, le vecchie glorie, sono certo che verranno tutti, chi non la ricorda anche per questo!».
Al momento di lasciarci mi consegna una cassetta musicale: «E’ copia del nuovo disco che abbiamo inciso, ne abbiamo fatti di progressi, lo potrà ascoltare con comodo a casa sua in Italia, resterà sorpreso». (Lo sto sentendo mentre scrivo a computer, è stupendo).
Troppo breve la mia apparizione alla festa del trentesimo anniversario della Cappella di Mungu, i cristiani qui sono ancora pochi, anche perché i giovani vanno verso la città. Bevo un po’ d’acqua del pozzo fatto scavare trent’anni fa per costruire la chiesa e per aiutare la gente.