Anche alcuni aspetti delle celebrazioni ostacolano a sentirsi parte di una stessa realtà: lo sottolinea Lisette Suarez Rivas, ecuadoregna, membro della Consulta dei migranti
di Claudio
URBANO
«Alla Messa della comunità sudamericana vengono anche diversi italiani, perché piace loro il nostro modo di celebrare, coi canti e le chitarre. Siamo andati ad animare la Messa anche in carcere. Noi però abbiamo più difficoltà a inserirci nelle parrocchie. Molti fanno fatica, non si trovano a loro agio, perché lo stile della celebrazione è molto diverso». Lisette Suarez Rivas, ecuadoregna, è in Italia dal 2001; ha subito frequentato la chiesa di Santo Stefano, a Milano, conoscendo don Giancarlo Quadri, che animava la Pastorale dei migranti prima di don Alberto Vitali. «Ho avuto la fortuna di inserirmi in parrocchia anche qui a Monza – ricorda -, dove poi abbiamo iniziato una celebrazione in spagnolo a partire dal 2007». Allo stesso tempo, però, è consapevole delle barriere che ancora rendono difficile, nel suo caso per i sudamericani, sentirsi pienamente parte della stessa comunità cristiana.
Lo scambio della pace
Tornando alle forme della liturgia, Suarez porta «un esempio semplicissimo, banale: al momento dello scambio della pace ora non possiamo stringerci la mano; spesso questo momento non viene neanche ricordato, non ci si scambia uno sguardo con chi si ha di fianco. Invece girarsi verso l’altro, scambiarsi un sorriso con gli occhi vorrebbe dire tanto».
Le occasioni di incontro tra le comunità di diversa provenienza, come la Festa dei popoli, si sono forzatamente interrotte a causa dell’epidemia. «Molti in questo periodo si sono avvicinati alle comunità evangeliche – avverte Suarez – forse anche perché per qualche mese abbiamo sospeso le celebrazioni. Ora – aggiunge, anche pensando al prossimo avvio della Consulta dei migranti di cui farà parte – come comunità sudamericana dobbiamo lavorare molto. Anche i tempi del lavoro spesso non aiutano: nel mio caso, per esempio, faccio i turni, e l’unica domenica in cui sono libera al mattino è la seconda del mese. Tra lavoro e famiglia è difficile».
L’importanza della catechesi
Ci sono però anche novità positive: «Ora don Provasi (arciprete di Monza) ci ha dato la possibilità di celebrare nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Come comunità sudamericana ci troviamo una volta al mese», spiega Suarez. Nella stessa chiesa, due volte al mese, si riunisce la comunità dello Sri Lanka. C’è poi la catechesi. «La tiene don Alberto, in spagnolo, l’ultimo giovedì del mese. È da tanto che segue la nostra comunità, conosce il nostro modo di pensare. E ci aiuta, ci prepara. Siamo contenti che sia con noi. Questo – conclude Suarez – è già un buon inizio».