Ebenezer Heungna, camerunense, insegnante di religione a Gallarate, rappresenterà la Zona II nella nuova Consulta migranti: «Potrà crescere solo grazie all’azione dello Spirito santo. Bisogna dare concretezza all’idea che siamo tutti fratelli nella fede»
di Claudio
URBANO
«Quando mi hanno proposto di partecipare alla Consulta dei migranti ho detto subito di sì. Anche se so che c’è diffidenza nell’avvicinarsi all’altro, anche tra noi italiani. Ma sono convinto che l’idea del Sinodo, di una “Chiesa dalle genti” che si costruisce partendo dal basso, rappresenti il futuro». Non manca l’entusiasmo a Ebenezer Heungna, che nel nuovo organismo diocesano rappresenterà la Zona II (Varese). Camerunense, un passato di lavoro in fabbrica, ex sindacalista, da sette anni insegna religione a Gallarate, dopo che aveva iniziato a studiare teologia semplicemente per approfondire i contenuti della fede. E quando dice «noi» considera l’Italia a tutti gli effetti il proprio Paese, tanto da essersi sposato con Laura, dalla quale ha avuto due figli (oltre ai quattro, più grandi, di cui è padre in Camerun).
Come in un matrimonio
Proprio la metafora del matrimonio, sostiene Heungna, può rendere bene l’idea del camminare insieme tra cristiani di diversa provenienza e tradizione. Perché «non si tratta di innestarsi nell’altro, o di aggiungere qualcosa in più. Piuttosto, nel camminare insieme ci conosciamo e ci arricchiamo a vicenda. Io non rinuncio a qualcosa di mio per prendere del tuo, ma anzi mi arricchisco stando con te, e nello stesso tempo ti arricchisco», sottolinea l’insegnante, che indica il modello nell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco per crescere insieme tra comunità italiana e comunità straniere: «Non c’è qualcuno che insegna all’altro; piuttosto, condividiamo il nostro essere cristiani».
Heungna non nasconde le difficoltà: «Noto che nelle parrocchie, sul territorio, le comunità straniere, soprattutto chi proviene dal continente africano, vivono un po’ ai margini. Certamente hanno altre problematiche, altri bisogni e ciò li porta a vivere il loro essere cattolici in modo, per così dire, privato. Anche loro partecipano alla Messa, ma non siamo ancora arrivati all’idea di una Chiesa che cammina insieme».
Coinvolgere le comunità
Heungna non ha una soluzione in tasca, e chiarisce che non si tratta solo di una questione linguistica. Perché, nota, celebrare una Messa in più lingue diverse può andare bene una volta, ma dopo crea confusione. Allo stesso tempo però «coinvolgere le comunità straniere per animare le celebrazioni può far vedere anche agli italiani che ci sono altri modi di essere cattolici, culturalmente diversi dai nostri, ma con lo stesso denominatore comune che è Cristo». Stesso discorso per la festa dell’oratorio, che andrebbe considerata come la festa del popolo di Dio: «Quante volte avvertiamo questa esigenza di stare insieme, di incontrarci? Bisogna quindi dare concretezza all’idea che siamo tutti fratelli nella fede», sollecita Heungna.
Ci sono in effetti da vincere pregiudizi e resistenze, a partire dall’errata convinzione che sia solamente una parte a doversi adattare all’altra. Del resto, nota il professore, «a volte c’è una sorta di competizione anche tra di noi, tra le stesse parrocchie. E spesso non c’è la volontà di incontrare l’altro, fosse anche il mio fratello italiano. Credo che la Consulta potrà crescere solo grazie all’azione dello Spirito santo. Non sono così ingenuo da pensare che sarà un compito facile. Ma ciò non mi toglie l’entusiasmo di guardare avanti».