L'economista Stefano Zamagni: «La “Laudato si’” ha indicato la rotta: alleanza tra natura e cultura e mutamento degli stili di vita. Ma l'opinione pubblica deve ancora recepire questo messaggio»
di Rita
SALERNO
La Laudato si’ rappresenta un punto di svolta nell’insegnamento sociale della Chiesa, soprattutto dal punto di vista della tematica ambientale. A metterlo nero su bianco è Stefano Zamagni, economista, dal 27 marzo 2019 presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, secondo cui «mentre gli interventi dei predecessori di papa Francesco mettevano l’accento sulle conseguenze nefaste del deterioramento ambientale, e quindi puntavano su raccomandazioni tese a migliorare o ridurre gli effetti negativi, l’enciclica di Bergoglio va all’origine del problema, chiedendosi come mai si è arrivati a questo punto, considerando che il fenomeno era già stato previsto in tutte le sue dimensioni da oltre un secolo».
In sostanza, per papa Francesco quanto sta accadendo è conseguenza di una impostazione scientifica e culturale in ambito socio-economico che considera la natura come mera fonte inesauribile di risorse e di materie prime. La tesi del Pontefice mira a mettere in crisi l’approccio fin qui adottato dalle nazioni nei confronti dell’ambiente. «Per oltre un secolo – secondo Zamagni – è prevalsa una teoria economica secondo cui l’importante era sfruttare razionalmente la natura ricorrendo a sistemi correttivi come il riciclo o l’eliminazione degli sprechi. Il Papa, invece, sostiene che sono misure inutili o peggio hanno aggravato la situazione. Perché invece occorre stabilire una alleanza tra natura e cultura. Cioè, tra l’ambiente variamente inteso e le comunità sulla terra. Guardando alla natura non come una mucca da mungere, ma come partner indispensabile per lo sviluppo umano integrale. Purtroppo va detto che, a distanza di quasi otto anni dalla pubblicazione dell’enciclica, nulla è mutato e si continua ad agire come in passato. Come è successo in occasione delle grandi conferenze internazionali, nonostante i proclami. Prevale l’approccio della ottimizzazione delle risorse sulla base di una razionalizzazione. La novità è che il Papa propone invece di cambiare stile di vita».
Vale a dire?
Diminuire produzione e consumo di beni privati e pubblici per aumentare invece quelli di beni relazionali e comuni. Non ci rendiamo conto che le ripercussioni di un mancato cambiamento di prospettiva comporta danni anche alla nostra salute. Per esempio, non coltiviamo abbastanza beni relazionali come l’amicizia o la famiglia. Il Papa afferma che invece l’uomo, preso da stupidità unita a estremo egoismo, pensa di soddisfare le sue esigenze aumentando il consumo di beni privati: cibo, automobili e via di questo passo. Tutto questo peggiora l’equilibrio ambientale. L’enciclica, da questo punto di vista, ha e avrà ancora molto da dire. Ma occorre spiegare che cosa il Papa vuole proporre. Non è un problema di razionalità, ma di etica delle virtù. Si deve cambiare il modo di concepire l’esistenza.
L’opinione pubblica e la comunità di credenti hanno recepito l’enciclica? E in che misura?
C’è troppa ipocrisia, anche dentro l’ambiente cattolico. Da una parte, si fa finta di apprezzare il documento pontificio, dall’altro ci si ostina a non cambiare stile di vita. Il punto è questo. Se una percentuale alta di cittadini fosse coerenti con le prese di posizione, le conferenze internazionali non sarebbero finite con un nulla di fatto. Basta vedere, tanto per fare un esempio, cosa succede quando si introducono vincoli alla circolazione automobilistica da parte di un Comune: come minimo, si scatena la rivolta popolare, anziché rallegrarsi per la decisione presa. O come nel caso della fast fashion, che non fa altro che produrre ulteriore inquinamento dopo il petrolio e il gas. Si tratta di abbigliamento prodotto in acrilico che non si può distruggere e con un ciclo di vita al massimo di quattro-cinque settimane. Le imprese fanno profitti, ma se i cittadini smettessero di comprare dietro manipolazione delle menti per inseguire la civiltà del consumo, la situazione cambierebbe.
Come invertire la rotta?
La Chiesa deve essere più rigida e dire che occorre cambiare atteggiamento. Come Gesù con gli ipocriti che definiva «sepolcri imbiancati», oggi a parole si condivide quanto dice il Pontefice, ma nei fatti ci si comporta diversamente. Anche sul fronte dello spreco alimentare, l’Italia vanta un non invidiabile primato, perché conferma anche qui la sua propensione al consumo e a buttare ciò che non serve più.
In definitiva, non è stato capito il messaggio dell’enciclica?
C’è chi dice che non ha sortito l’effetto desiderato. Non è vero. Ci vorrà ancora tempo. Forse dovremo sbattere contro il cambiamento climatico per renderci conto che non ci sono alternative. È un problema di soglia critica. Per raggiungere un risultato, è necessario arrivare a un numero ragguardevole di persone. Le iniziative legate all’enciclica sono positive, ma ancora ininfluenti per cambiare la situazione. E si rischia l’effetto contrario.
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