L’intervento dell’Arcivescovo al Centro pastorale ambrosiano di Seveso. La riflessione sul tema dell’ultimo Discorso di Sant’Ambrogio, secondo la recezione emersa negli incontri di Zona svoltisi in maggio
«La vita cristiana comporta uno “stile”. Non si tratta solo di essere inseriti in modo stabile in una appartenenza, di prestare un ministero, di una relazione personale con il Signore, di eseguire dei comandamenti, di un’intima persuasione. Il “buon vicinato” è uno stile, prima uno stile che un insieme di cose da fare e di ambienti da bonificare». L’arcivescovo, mons. Mario Delpini, è intervenuto sabato 20 ottobre all’Assemblea dei diaconi permanenti della Diocesi, che si è svolta presso il Centro pastorale ambrosiano di Seveso.
La giornata è iniziata alle 8 con l’Arcivescovo che ha ricevuto gli ordinandi diaconi 2018 con le mogli. Poi alle 10 l’inizio dell’assemblea. Nella lettera d’invito inviata a tutti i diaconi, i candidati e gli aspiranti, nonché ai Vicari episcopali, il rettore per il Diaconato permanente don Giuseppe Como, oltre a sottolineare il desiderio dell’Arcivescovo («il primo a conferire grande valore a questo incontro»), ha spiegato che al centro della giornata sarebbe stato l’invito a praticare l’arte del buon vicinato contenuto nell’ultimo Discorso di Sant’Ambrogio, secondo la recezione e la riflessione che i diaconi hanno già vissuto negli incontri di Zona svoltisi in maggio.
L’obbedienza è una forma di comunione ecclesiale
«Lo speciale legame che l’ordinazione costituisce con il Vescovo trova la sua forma più impegnativa nella promessa di “obbedienza” – ha detto Delpini -. Il rischio di ridurre l’obbedienza alla destinazione è correlativo alla riduzione del ministero a ruolo e funzione. L’obbedienza, nella sua serietà più complessiva, è una forma di comunione ecclesiale: significa la condivisione della missione apostolica e dello Spirito che la anima. In questa prospettiva generale anche una indicazione particolare, come quella che propone la pratica dell’arte del buon vicinato, diventa una forma di obbedienza. L’indicazione è stata proposta in un contesto “civile”, come è richiesto dal Discorso di Sant’Ambrogio, ma sembra coerente con i legami che si stabiliscono tra il clero e il suo Vescovo, che i primi a confrontarsi con le indicazioni e a cercarne la pratica siano i membri del clero».
Chi è inserito nel ministero ordinato è chiamato a lasciare che lo Spirito porti i suoi frutti
L’Arcivescovo ha poi posto una «questione che non si può evitare sul rapporto tra ministero/ruolo e stile»: «Infatti – ha precisato Delpini – talora si ha l’impressione che la definizione e l’assunzione di un ruolo comporti come una sorta di inerzia, l’arroccarsi in una certa rigidità nei tratti, una certa asprezza nello stile, una certa puntigliosità e suscettibilità. L’irrigidimento è frutto anche del contesto, delle attese, delle pretese, di chi sta intorno e dei destinatari del servizio: possono infatti anche emergere attese che diventano come pregiudizi (ma come? tu che sei un diacono… come si usa nei confronti dei preti, ecc), oppure sollecitazioni a farsi valere che incrementano l’amarezza e il risentimento (vedi che non sei mai valorizzato…). Al contrario chi, per potenza di Spirito Santo, è inserito nel ministero ordinato, è chiamato a lasciare che lo Spirito porti i suoi frutti».
Alleanze per il bene comune
Puntare dunque sul buon vicinato e sulle alleanze per il bene comune anche da parte dei diaconi. «Un tratto che deve essere più realisticamente e coraggiosamente tenuto presente è che l’arte del buon vicinato non può essere ridotto a una pratica individuale – ha sottolineato l’Arcivescovo -. Le istituzioni presenti sul territorio non possono essere circondate da un sistematico discredito e scetticismo né squalificate con giudizi sommari. Perciò anche i diaconi sono incoraggiati a considerare, secondo le loro specifiche condizioni e responsabilità, quali alleanze si possano stabilire con le scuole, le istituzioni sanitarie, le forze dell’ordine, le articolazioni della pubblica amministrazione, le organizzazioni di categoria. La società civile è una organizzazione complessa, ma preziosa e irrinunciabile e i luoghi comuni non sono certo di aiuto ad apprezzare le professionalità qualificate e le persone che con dedizione esemplari prestano il loro servizio. Su questioni difficili, come l’ordine pubblico, la prevenzione delle dipendenze, la pervasività della corruzione, la buona volontà dei singoli e le buone iniziative della comunità cristiana locale possono solo avviare qualche forma di vigilanza e di rimedio. Solo una vera alleanza con il “vicinato” può forse promettere un’opera incisiva».
Il diacono avverte di essere nella Chiesa e per la Chiesa
«Il diacono, in genere il ministro ordinato, è collaboratore del Vescovo per edificare il segno che è la Chiesa – ha concluso Delpini -. In ogni momento, pertanto, il diacono avverte di essere nella Chiesa e per la Chiesa. Anche la pratica delle virtù “private” (come l’arte del buon vicinato) sono parte di questa sollecitudine per la comunità. Quindi il diacono non si domanda solo che cosa può fare lui personalmente, ma anche come può far crescere nella comunità le buone pratiche».