Questa la visione e la missione che emergono dalle parole pronunciate dall'Arcivescovo nella sua omelia in Duomo, rivelatrice di uno stile pastorale accogliente, aperto, disponibile all’ascolto e al dialogo

di Valentina SONCINI
Segretaria del Consiglio pastorale diocesano

Valentina Soncini (foto Siciliani)
Valentina Soncini

«Non posso non annunciarvi la gloria di Dio». La nostra Chiesa ha ricevuto in dono un nuovo successore di Sant’Ambrogio, miracolo non scontato che si rinnova ogni volta con gratitudine e stupore. Il successore è monsignor Mario Delpini, conosciuto, stimato e già amato da molti, ora Arcivescovo di tutti. L’attesa per le sue parole e le sue indicazioni era alta, in occasione dell’omelia della messa di ingresso, comprensibilmente. Gioiosamente abbiamo potuto ascoltarlo e iniziare con slancio il cammino insieme, per edificare la Chiesa ambrosiana in questa fase storica.

Cosa ci ha comunicato? Innanzitutto risuonano nella memoria due parole, «Fratelli, sorelle…»: appellativi usati da lui per rivolgersi a tutti i presenti, a tutti i fedeli, ai soli curiosi o indifferenti, ai fedeli di altre religioni, ai rappresentanti delle autorità civili. Appellativi tratti dal lessico familiare, non per accorciare in modo irrituale e invasivo le distanze, ma per far risaltare il fatto che siamo tutti «concittadini dei santi, familiari di Dio» (Ef 2,19), parte dell’umanità di cui Dio – che si creda o no – è rivelato come Padre buono. In filigrana si può scorgere in questi riferimenti la visione di Chiesa tipicamente conciliare, cioè di una Chiesa popolo di Dio, popolo a cui si appartiene per grazia, popolo dai molti volti, popolo aperto a tutti i popoli, a tutti gli uomini, fratelli e sorelle. È anche la visione di Chiesa di Paolo VI che con la sua prima lettera enciclica Ecclesiam Suam ha disegnato una Chiesa a cerchi concentrici, larghi fino ai confini dell’umanità. È la visione di Chiesa che la lettera apostolica Evangelii Gaudium indica e rilancia, una Chiesa sinodale, multiforme nell’unità, entro cui il ruolo del Vescovo è quello di favorire una comunione dinamica e stimolare una maturazione del dialogo pastorale «animato dal sogno missionario di arrivare a tutti» (EG 31).

Ed è sogno che il vescovo Mario osa esprimere confidando su tutti e in particolare sul clero ambrosiano, di cui ben conosce la qualità e lo spessore. Questi desiderati legami di fraternità dicono uno stile pastorale accogliente, aperto, disponibile all’ascolto e al dialogo, uno stile che già corre nell’aria e invoglia a sentirsi interlocutori di questa offerta umile di relazioni autentiche, disinteressate, volte solo alla ricerca del bene per tutti. L’arcivescovo Mario non ha indicato priorità da assumere, progetti da svolgere, ma un “come”, cioè un sentirsi parte innanzitutto per quello che si è, prima che per quello che si fa.

Da dove nasce questo invito? Quale dimensione più profonda rivela? Nell’omelia dell’Arcivescovo è risuonata un’altra espressione: «Della gloria di Dio, cioè del suo amore per tutti, è piena la terra». Una verità che, ci ha detto, non può essere taciuta, ma chiede di essere gridata sui tetti, messa come luce sul candelabro perché verità decisiva per la vita: Dio ama ciascuno senza chiedere nulla in cambio, senza che si sia meritevoli del suo amore. Non solo: il suo amore abilita ciascuno a divenire capace di amare come Gesù. L’arcivescovo Mario, annunciatore appassionato di questa verità, si è fatto anche supplice perché ciascuno si lasci avvolgere da questo amore, senza paura, senza ritrosie, senza calcoli, perché ciascuno si lasci attrarre da questo annuncio di bene di cui essere insieme destinatario e portatore, cioè “discepolo-missionario”.

Dunque molto più di un programma, bensì un invito a condividere la gioia del Vangelo, un invito che ora chiede a ciascuno la propria risposta. Sarebbe bello che a questo appello, in modo diverso, ciascuno possa dire: presente!

 

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