Nella Basilica dei Santi XII Apostoli, l'Arcivescovo ha presieduto i Primi Vespri della domenica della Canonizzazione di Paolo VI

di Annamaria Braccini

delpini vigilia canonizzazione AAAT

Il Rito della luce che rischiara le antiche architetture e per cui si accendono i lumi, come in una corona, sopra l’altare maggiore della basilica dei Santi XII Apostoli, è il simbolo vivo della presenza del Signore e della gioia dei suoi figli per la Canonizzazione di Giovanni Battista Montini-Paolo VI. Figli ambrosiani che si affollano, con i più giovani che siedono anche per terra, offrendo il loro posto agli anziani che, magari, l’allora Arcivescovo lo hanno conosciuto «davvero», come sussurra qualcuno.
Non c’è angolo della Basilica che non sia colorato dei foulards rossi e bianchi dei pellegrini provenienti da ogni parte della Diocesi.
Sono i primi Vespri della domenica della Canonizzazione, presieduti, secondo il Rito ambrosiano, dall’Arcivescovo. Accanto a lui siedono il Consiglio Episcopale Milanese al completo, con i Vescovi ausiliari e i Vicari episcopali cui si aggiungono i Vescovi residenti in Diocesi – e tanti sacerdoti giunti con le loro Comunità. Non mancano i rappresentanti delle Istituzioni (l’assessore Raffaele Cattaneo per la Regione Lombardia) e i seminaristi che, in mattinata, hanno dialogato per più di due ore con Papa Francesco, durante l’Udienza privata concessa dal Santo Padre a tutti gli oltre 300 seminaristi lombardi ricevuti con i loro Pastori, Superiori ed Educatori.
A tutti i presenti si rivolge monsignor Delpini, parlando idealmente all’intera Chiesa ambrosiana.
«In questa chiesa di cui è titolare il cardinale Scola (l’Arcivescovo emerito accompagna i pellegrini con la preghiera non potendo essere presente per un intervento chirurgico alla schiena), siamo riuniti e radunati da un debito di riconoscenza verso Paolo VI. Tutti gli siamo in qualche modo debitori: le Ausiliarie diocesane che ebbero in Montini, quale arcivescovo, colui che le ha indirizzate verso il loro particolare carisma di donne della risurrezione; il Seminario Lombardo dove ha vissuto anni di studio, il Seminario diocesano che ha molte volte visitato avendone una particolare attenzione. Tante persone, poi, che sono qui, hanno da lui ricevuto la Cresima o lo hanno conosciuto. Anche coloro che non l’hanno potuto conoscere di persona, hanno ricevuto molto dai suoi testi così intensi, dal suo Magistero, dal servizio che ha reso, conducendo a buon fine il Concilio e conducendo la Chiesa nel post-Vaticano II».
Il pensiero va alla Lettera pastorale inviata alla nostra Arcidiocesi per la Quaresima del 1955 – “O Cristo, Tu ci sei necessario” -, con la famosa frase che tanto è presente negli scritti del futuro Santo e nella sua preghiera.
«Chiediamoci cosa Montini ha ricevuto da noi, dalle Comunità che lo hanno condotto a questa santità, anche se la santità è sempre qualcosa di superiore, un dono dello Spirito. Forse, considerando questo, possiamo diventare più consapevoli. In questa preghiera mi sembra che Montini-Paolo VI traduca un fremito, comunichi una consolazione, una forza per vivere dicendo che il Signore ci è necessario, offrendo il senso del bisogno della Grazia di Dio».
In sintesi, i luoghi e i tempi dell’intera esistenza montiniana tornano nella riflessione dell’Arcivescovo. «Credo che abbia ricevuto da Brescia e dal cattolicesimo bresciano di quegli anni, una specie di ottimismo sulla possibilità che i cristiani hanno di costruire un’economia e una politica a favore del Bene comune; che vi sia una possibilità di incidere in Istituzioni che incarnino un mondo intenso di valori; che vi possa essere un modo di vivere la proposta culturale, il giornalismo, la finanza, le banche, capace di offrire alla società disorientata una parola di speranza. Noi crediamo di potercela fare».
«Dalla prolungata presenza a Roma, come assistente della Fuci e con il lavoro svolto in Segreteria di Stato, ha ricevuto la persuasione della possibilità della intelligenza. Qui ha incontrato tanti giovani della Fuci che si sono si sono formati nell’impegno ecclesiale, politico e sociale. Qui si è creata la sua stima per la cultura e lo studio».
E Milano? «Nel suo Episcopato ha dato e ricevuto molto», sottolinea Delpini esemplificandone due aspetti.
«Il primo è la fiducia nell’organizzazione, attraverso la creazione di iniziative e di forme di presenza della Chiesa che tengano viva la trasmissione del Vangelo».
Basti pensare al “Piano Nuove Chiese” o alla Missione di Milano del 1957. E poi la prossimità – tanto che la Visita pastorale non era solo una bella Celebrazione – «perché voleva entrare nella vita, nelle situazioni, nei problemi della gente».
Come a dire, quel “Tu ci sei necessario” era, appunto, necessario per illuminare ogni problema, per aiutare, per coltivare tutto questo.
Paolo VI, infine, «con il suo fremito sempre vivo di evangelizzazione fatta di parole pertinenti e di messaggi specifici, di interpretazioni adatte alle diverse situazioni. Questo lo ha imparato dalla sensibilità francese, con all’attenzione per la scrittura e lo stile della parola incisiva, per la cura dell’oratoria».
«Il servizio alla Chiesa universale gli ha dato consapevolezza della necessità del Cristo per la speranza del mondo, per evolvere – con la “Populorum Progressio” – per la pace – con il famoso Discorso all’Onu – per il bene dei popoli, per i poveri, per essere uniti come cristiani, per la missione – è andato in tutti i Continenti per dare testimonianza-, in ogni circostanza della storia».
Un “Tu ci sei necessario”, quindi, per un fremito che è stato vivo per tutta la sua vita. Le comunità dalle quali è stato generato, in cui ha vissuto e servito, hanno contribuito a renderlo ricco e perseverante nei doni che Dio gli ha fatto e a essere, adesso, un santo per Grazia di Dio e intercessore per tutta la Chiesa».

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