In Duomo il cardinale Scola ha presieduto la Celebrazione eucaristica di suffragio del cardinale Carlo Maria Martini, a cinque anni dalla scomparsa. L’omelia è stata pronunciata dall’arcivescovo eletto, monsignor Mario Delpini
di Annamaria
Braccini
Sono già trascorsi cinque anni da quando il cardinale Martini, dopo una lunga e dolorosa malattia, tornava alla casa del Padre. Da allora, ogni 31 agosto, in Duomo, il cardinale Scola, i Vescovi – in questo anniversario sono 10 – i Canonici del Capitolo del Duomo, i membri del Consiglio Episcopale Milanese, il presidente e il vice presidente della Fondazione Martini, i gesuiti padre Carlo Casalone e padre Giacomo Costa, i sacerdoti, i parenti – tra cui, la sorella Maris e i nipoti Giovanni e Giulia – e tanta gente fanno memoria, vicino alla sua sepoltura tra le navate, di questo indimenticabile Arcivescovo di Milano. Il cardinale, per l’occasione, porta la Croce pettorale, la Mitra e il Pastorale che furono di Martini. Nelle prime file non mancano le autorità, tra cui la vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo.
La riflessione di monsignor Delpini
Quest’anno, una novità: perché a pronunciare l’omelia della Celebrazione di suffragio, presieduta dal Cardinale, è l’Arcivescovo eletto, monsignor Mario Delpini. È lui, infatti, dall’ambone (è la prima volta che, in questa veste, predica in Duomo) a richiamare il senso di un ricordo cristiano capace di generare scintille dal grande fuoco della fede, in riferimento costante alla prima lettura tratta dal Libro dei Maccabei.
«Far ardere il fuoco: ecco come i cristiani celebrano la memoria, non come una nostalgia, non come il rammarico per un’assenza, ma come gente che ha un fuoco ardente e non si rassegna alla desolazione del tempio profanato, della città confusa e smarrita, dell’arroganza dei potenti che domina incontrastata. La memoria diventa come quelle pietre da cui si trae il fuoco nuovo: ecco come i cristiani stupiscono per l’imprevedibile irrompere del regno di Dio che si presenta non come una consolazione sdolcinata, un “lieto fine”, ma come un dramma che chiama a giocarsi, come un fuoco che ti fa diventare fuoco, come una fortezza che resiste alla violenza e vince con la mitezza, quella resistenza dei martiri che possono fare a meno della vita, ma non di Dio e del suo Cristo», dice, in apertura della sua riflessione, Delpini
Ma come definire “questo fuoco tratto dalle pietre, che purifica tutta la vita”?
Il testo antico – da leggere «non come un repertorio di citazioni per trovare conferma alle proprie convinzioni, non un argomento per chiacchiere da salotto, ma come spada tagliente, luce necessaria per muovere per i passi verso il futuro, come una voce che ci raggiunge perentoria come una vocazione» – suggerisce di chiamarla la gioia degli Otto Giorni, «la festa che anima la città per celebrare la presenza di Dio nel suo tempio santo».
«La gioia degli Otto Giorni è il dono della Pasqua di Gesù e abita nel popolo santo di Dio, la gioia misteriosa e invincibile che lo Spirito tiene vivo in noi e che noi siamo chiamati a custodire con gratitudine e vigilanza perché non si spenga», specifica l’Arcivescovo eletto.
Da qui la richiesta di “dare contenuto” a tale festa «di cui si rallegra la città».
«Come riuscirà questa nostra Chiesa, così spesso lamentosa e tentata di ripiegarsi su di sé, ».
Non ha dubbi il prossimo Arcivescovo di Milano che prenderà possesso della Diocesi il 9 settembre prossimo entrandovi solennemente il 24. «Credo che sia la festa di un popolo che si riconosce radunato per Grazia di Dio, di chi dice “noi camminiamo insieme” tutti convocati. Noi che siamo diversi, ciascuno con sensibilità e storie diverse, problemi personali, eppure ciò che ci tiene uniti è così forte, profondo e bello che stiamo insieme».
Da qui la memoria comune e grata per una Chiesa capace di camminare unita grazie ai propri Pastori.
«Celebriamo la gioia degli Otto Giorni con particolare gratitudine a Dio e a coloro che sono stati incaricati di custodire l’unità di questa nostra Santa Chiesa, i Vescovi di Milano. Anche essi sono diversi tra loro, hanno parlato linguaggi diversi, hanno vissuto in tempi e condizioni diverse, ma tutti hanno servito la Chiesa di Milano e ne hanno cercato l’unità. In questo dobbiamo riconoscere che il loro servizio è stato convergente a un unico scopo».
«Oggi ricordiamo con particolare affetto e gratitudine il cardinale Martini, la sua personalità eminente capace di convocare e di promuovere il confronto, di convincere a percorsi di interiorizzazione e di discernimento profondi e, insieme, in questo particolare momento, dobbiamo essere grati al cardinale Dionigi Tettamanzi (scomparso il 5 agosto scorso) per la sua affettuosa cordialità e il suo invito a convergere in un rinnovato slancio missionario. Abbiamo anche questa occasione per esprimere gratitudine e apprezzamento per il cardinale Scola che ha richiamato con tanta insistenza a vivere la pluralità nell’unità. La nostra gioia è la sicurezza, l’impegno e la responsabilità di conservare l’unità».
Il pensiero dell’Arcivescovo eletto va anche a se stesso, «per non essere – dice – troppo spaventato del compito che mi aspetta». Cosa chiedere, quindi, «se non che continui la gioia degli Otto Giorni: questo essere insieme che rende possibile offrire una testimonianza credibile e affrontare le sfide formidabili che ci stanno davanti»?
Anche perché, così, la gioia della festa «non si riduce a un momento di euforia irripetibile, ma diventa celebrazione annuale, ritmo che consente di riattizzare ogni anno il fuoco tratto dalle pietre. La celebrazione della festa per i cristiani non si riduce alla commemorazione che, ripetendosi nel tempo, perde attrattiva e si estenua in un raduno di nostalgici sempre più ridotto e vecchio. È, invece, celebrazione del mistero pasquale che è principio di quella comunione dei Santi che non confina in un passato irraggiungibile le persone che abbiamo amato e che ci sono stati i maestri, rendendoli interlocutori presenti capaci di ispirare le scelte che incombono e di tenere vigile e lungimirante lo sguardo per intravedere i segni dei tempi».
È questo lo spirito con cui vivere il quinto anniversario della morte dell’indimenticabile cardinale Martini: «con questo spirito vogliamo guardare avanti nel cammino della Chiesa ambrosiana con la certezza che tutti i santi Vescovi milanesi continuano a prendersi cura e a intercedere per noi», conclude monsignor Delpini, prima che la processione dei Celebranti muova verso la tomba del cardinale Martini su cui qualcuno ha deposto tre rose rosse e un piccolo bouquet di rose gialle bianche.
La preghiera sulla tomba del cardinal Martini
L’Orazione, la benedizione finale con i due inginocchiatoi, posti vicini davanti alla sepoltura, su cui pregano silenziosamente il cardinale Scola e monsignor Delpini e il saluto affettuoso ai parenti suggellano questo intenso momento vissuto idealmente dall’intera Diocesi. Quello cui da voce, infine il cardinale Scola parlando di gratitudine per «una memoria proiettata nel futuro così che si possa essere segno prezioso, nel solco dell’eredità del cardinale Carlo Maria, per la vita della nostra Chiesa e della nostra città».