Alcuni stralci dell’intervento dell’arcivescovo al XIV sessione del Consiglio presbiterale diocesano del 20 e 21 ottobre

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È al termine del Consiglio presbiterale che l’arcivescovo Mario Delpini prende la parola sollecitato dagli interventi precedenti. Scopo della due giorni «non era di parlare del laicato in generale, della vocazione dei discepoli del Signore nel mondo», ha ricordato, «ma ragionare sulle responsabilità dei laici all’interno della comunità cristiana». Certo la vocazione del laico è di essere «sposo, sposa, padre, madre, impiegato, lavoratore, politico, educatore… tutto quello che si fa fuori dai confini della comunità cristiana», ma questa volta il tema riguarda «la partecipazione alla cura dell’insieme, un aspetto che sentiamo particolarmente urgente per quel vuoto e quel deserto cui a volta si accenna».

La fatica che oggi si avverte spesso, continua Delpini, «è quella di coinvolgere nella corresponsabilità anche realtà associative, non solo per ruoli a servizio della comunità cristiana, ma anche di altre forme: associazioni di volontariato, servizio ai poveri, promozione culturale». Poi ammette: «Non si può chiedere a tutti i laici la disponibilità, perché ci sono persone che hanno responsabilità familiari, professionali, o che vivono in condizioni di salute o di età tali per cui devono pensare a se stessi».

Tuttavia non mancano persone che dedicano tempo ed energie alla vita comunitaria. Per questo, dice l’arcivescovo: «Noi abbiamo motivi per avere molta gratitudine al Signore, perché sono molti i laici che si impegnano a servizio delle comunità. La Chiesa affida a molti laici ciò che ha di più prezioso: i ragazzi del catechismo, gli ammalati, le attività di animazione di alcuni momenti caratteristici».

Delpini suggerisce di istituire «la festa della riconoscenza» invitando tutti i collaboratori della parrocchia. «Noi non dobbiamo guardare la nostra gente per giudicarla – continua -, ma per ringraziare il Signore di quello che fa. Questo però non ci esonera dalla preoccupazione della formazione dei laici e in particolare degli operatori e collaboratori che hanno responsabilità nella comunità. Questo è uno degli obiettivi di questa sessione è quella di domandarci quali percorsi formativi sono proponibili e più urgenti. Quando diciamo che i laici non sono formati, non sono capaci, sanno tutto di ragioneria, fisica o storia moderna ma non sanno niente di catechismo, segnaliamo un aspetto serio, ma forse abbiamo parametri di giudizio troppo clericali. Invece di dire che il collaboratore dovrebbe sapere, dovrebbe avere, dovrebbe essere, chiediamoci: cosa c’è in questa storia di uomo o di donna? Cosa ha fatto lo Spirito santo tanto che questa persona collabora volentieri, è contenta di prestare servizio?».

Il «carisma laicale» però non è esente «dalla tentazione per un laico di tenere un incarico a vita per potere. È un pericolo che c’è e spesso segna le comunità allontanando le persone». Per questo l’arcivescovo si chiede se non sia il caso di assegnare incarichi temporanei, così come avviene per il Consiglio pastorale.

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