Il decano don Giovanni Castiglioni presenta la visita pastorale in corso a San Siro-Sempione-Vercellina: un territorio vasto e variegato dal punto di vista sociale ed ecclesiale, nel quale la pandemia e la guerra hanno prodotto ferite materiali e psicologiche
di Cristina
Conti
È in corso la visita dell’Arcivescovo nel Decanato San Siro-Sempione-Vercellina (vedi qui il programma). Un territorio vasto e molto variegato, fatto di quartieri modesti e altri benestanti, e costituito dalla fusione di tre Decanati che fino a qualche anno fa erano distinti.
«Il nostro Decanato è formato in tutto da 18 parrocchie – spiega il decano don Giovanni Castiglioni, parroco della Beata Vergine Addolorata in San Siro -. Alcune si sono organizzate in Comunità pastorali. La visita dell’Arcivescovo è appena partita e riguarderà sia le parrocchie, sia i gruppi e le associazioni, includendo come di consueto anche realtà sociali particolarmente significative».
La partecipazione alle celebrazioni e alle attività pastorali è buona? Quali effetti ha avuto la pandemia?
Data l’estensione del nostro territorio, è difficile dare una risposta univoca. Per quanto riguarda la mia parrocchia, per esempio, ho avuto la sensazione che le persone che già erano vicine, venivano a Messa e si impegnavano nelle attività parrocchiali, si sono sentite sostenute con i mezzi che ci siamo inventati per creare occasioni di incontro. In questo sono state utili le nuove tecnologie. Chi invece era meno convinto ha fatto più fatica a proseguire il cammino di fede. Ho notato soprattutto che c’è stata molta difficoltà a intercettare i ragazzini che partecipavano alle attività dell’oratorio con poca motivazione.
Quali sono invece i problemi sociali presenti? E come ha inciso la pandemia su queste situazioni?
Il territorio che appartiene al nostro Decanato è enorme. Si va da zone più povere, come per esempio quella attorno a piazza Selinunte, ad altre benestanti, come quella di CityLife, fino a quelle molto ricche, come quella che comprende le case lussuose costruite vicino allo Stadio di San Siro, dove il tenore di vita è molto alto. Durante la pandemia c’è stato un forte bisogno di aiuto e abbiamo cercato di sostenere le persone con gesti concreti. Oggi, soprattutto in alcune zone, i bisogni continuano. Certo, ci sono persone che hanno smesso di ricevere i pacchi viveri, ma si percepisce il segno forte lasciato dalla crisi pandemica. E non si tratta solo di una questione prettamente economica, ma anche di un forte disagio psicologico, fatto di solitudine, di paure e angosce, rese ancora più acute dallo scoppio della guerra in Ucraina.
Quali sono le attese per la visita dell’Arcivescovo?
Non è così semplice rispondere a questa domanda, perché le comunità sono molto variegate, formate da persone molto diverse tra loro, e non è mai facile interpretare cosa pensa la gente. In generale, vedo che le persone sono molto contente del fatto che il loro Arcivescovo venga a trovarli. Apprezzano soprattutto il modo in cui ha predisposto la visita: viene come pellegrino per sostenere, incoraggiare, farsi vicino alle persone che hanno maggiore bisogno di aiuto e di conforto. Ovviamente c’è anche chi è indifferente. Ma tra quanti stanno aspettando l’incontro con lui, c’è sicuramente molta gioia.