Queste le suggestioni provenienti direttamente dal titolo «Kyrie, Alleluia, Amen». Dal richiamo di Martini alle indicazioni per una preghiera dinamica, inclusiva e corresponsabile
di Moira
SCIMMI
Teologa e insegnante
Nel 1981 Carlo Maria Martini si inseriva nel fervente cammino della Diocesi che gli era affidata come pastore, iniziando dalla dimensione contemplativa (il testo della lettera pastorale La dimensione contemplativa della vita è contenuto integralmente in questo volume). Richiamando questa eredità nel decimo anniversario della sua morte, l’arcivescovo Mario Delpini si chiede se la presente situazione segnata dall’esperienza della pandemia non possa divenire occasione di un nuovo inizio, che ritrova nel pregare intatta freschezza. La Proposta pastorale (vedi qui lo speciale) apre quindi un tempo per prendersi cura dello stato di salute della preghiera personale e comunitaria.
Come discepoli di Gesù
La dimensione contemplativa della vita si concludeva con un’indicazione di metodo e proponeva tre domande puntuali per verificare periodicamente quanto fatto e aggiornare il programma a partire dall’esperienza. Una verifica per non disperdersi negli estremi dell’eccessiva severità o dell’eccesso di indulgenza necessita di precisi indicatori. Kyrie, alleluia, amen delinea il pregare per vivere nella Chiesa come discepoli di Gesù nell’ampiezza delle sue dinamiche. A partire dalla propria situazione, sembra opportuno che ciascun fedele e ogni comunità circoscriva due o tre indicatori utili per camminare seriamente. Provo a raccogliere dal testo tre possibili indicazioni.
A che punto del cammino?
Innanzitutto occorre discernere la propria situazione rispetto alla preghiera: non si tratta di stabilire se siamo già arrivati o non ancora partiti, quanto di riconoscere se si è sostanzialmente fermi o umilmente in cammino. Nella Proposta pastorale sono disseminati come indicatori di situazioni bloccate una preghiera che si limita alla ricerca di ciò che fa star bene, che va avanti per inerzia, che pratica consuetudini e tradizioni intoccabili, che si predispone ad assistere allo svolgimento di un rito. Al contrario è indice di un cammino dinamico il pregare di fedeli e comunità che propongono itinerari, che sono in ricerca, che preparano l’ingresso nel mistero.
Coinvolgere tutti
Il secondo rilievo è sulla ricorrente attenzione a chi presenta disabilità. Più che un’annotazione a margine sull’importanza di superare le barriere architettoniche e mentali per permettere l’accesso fisico ed effettivo di tutti alla preghiera comunitaria, si tratta di una questione centrale: solo una comunità al passo degli ultimi coinvolge tutti, perché raggiunge la fragilità che è in ciascuno. Trovare una chiesa con le porte aperte al desiderio di raccogliersi in preghiera, incontrare uno sguardo, una parola o un tocco di accoglienza all’ingresso di una celebrazione non sono dettagli marginali.
Nessuna delega
La terza indicazione riguarda il superare l’atteggiamento della delega, sia quando si richiama ognuno a prendersi cura della preghiera degli altri, sia quando si precisa che la preghiera di domanda non delega all’intervento divino quanto noi non facciamo, ma porta a discernere quanto ciascuno può fare. Nella medesima direzione l’invito ad avviare la costituzione di animatori della preghiera non è una delega in assenza del ministro ordinato, ma un ministero affidato ad alcuni per il bene di tutti.
Il titolo della Proposta pastorale riporta tre parole che ricorrono con frequenza nella celebrazione liturgica e possono diventare percorsi per alimentare la partecipazione. Le rileggo alla luce dell’esperienza di pellegrina della preghiera: perché il cammino sia buono occorre il respiro (Kyrie), la leggerezza (alleluia) e un appoggio sicuro (amen). Buon cammino.