Redazione

Evoca Lazzati, in apertura, la riflessione del moralista don Eros Monti. Parla di un testo carissimo al professore milanese, quella “Lettera a Diogneto”, alla quale Lazzati dedicò profondi studi, che indaga la “paradossalità” dei cristiani, il loro essere nel mondo, non del mondo. Un riferimento inevitabile per affrontare l’ambito del Convegno ecclesiale della Chiesa italiana di Verona dedicato alla cittadinanza.

E non manca, il teologo che insegna al seminario di Venegono, di esprimere, con poche, ma essenziali parole, la gratitudine verso la figura di monsignor Mario Spezzibottiani, recentemente scomparso, «infaticabile servitore della Chiesa, riferimento sicuro per chi si ostina a fissare il cielo invocando più giustizia».

Ma il severo riferimento alla “Lettera a Diogneto”, che segnala uno scarto ineludibile tra servizio a Dio e città dell’uomo, lascia presto il campo ad un’immagine più eterea, ma assai efficace. La liturgia e la cittadinanza, racconta don Monti, «assomigliano a due sorelle, che si conoscono da lungo tempo, ma che fanno fatica a parlarsi».

Esse sono protagoniste di una secolare vicenda che vede alternarsi avvicinamenti, sovrapposizioni, nette separazioni. E tutto lo sforzo del teologo si traduce in una riflessione sulla necessità di un rapporto più libero ed equilibrato tra le due realtà, capace di evitare snaturamenti ed equivoci. A partire dalla situazione odierna. «Nelle stesse comunità cristiane – ricorda don Monti – spesso si separa l’azione rituale dall’attenzione ai problemi sociali e politici. Si teme infatti che affrontare questi ultimi equivalga a schierarsi da una parte o dall’altra. Una cosa che si guarda con fastidio e sospetto». Come andare oltre questa separazione?

Don Monti denuncia una serie di rischi molto diffusi. C’è la tentazione del fideismo di chi crede che tutto si risolva dall’alto, senza alcun intervento umano. E non mancano neppure cadute moralistiche da parte di chi mette tra parentesi il culto come condizione ad impegnarsi per il bene degli altri. Scorciatoie e cortocircuiti che precludono la prospettiva di un rapporto virtuoso tra liturgia e cittadinanza.

È assai più indiretta e discreta la via attraverso cui la liturgia può cambiare in meglio la città dell’uomo. «La liturgia può donare la speranza – spiega don Monti – aiutando a cogliere gli aspetti positivi già esistenti nella realtà, portandoci a guardare l’altro come un fratello». Ma se dai frammenti positivi della realtà, il “già” della storia, si riesce a celebrare anche il “non ancora” del Regno, allora la liturgia può contribuire davvero in maniera dirompente ad orientare l’uomo verso un mondo più giusto. «Siamo così condotti dalla liturgia – prosegue il moralista – a vivere un impegno nella società libero da tentazioni ideologiche e totalitarie, le stesse annunciate dalla potente immagine della torre di Babele».

La liturgia, in altre parole, «è un’anticipazione simbolica che mette in tensione verso il cielo e consente dunque di relativizzare ogni progetto umano». Una consapevolezza che è un vero giro di boa, un necessario colpo d’ala per riconciliare liturgia e cittadinanza, che il presente sembra condannare senza appello alla separazione. Anche la preghiera dice che la separazione non è l’unica prospettiva praticabile.

In tutta la Sacra Scrittura, Vetero e Nuovo Testamento, da Geremia alle lettere di San Paolo, sono presenti preghiere in favore della società. Invocazioni, cioè, rivolte dagli uomini al bene di tutti, e non solo del proprio clan o della propria fazione. È dunque possibile un dialogo tra le “sorelle”, liturgia e cittadinanza, che apparentemente sembrano incapaci di intendersi.

Una coscienza che deve però tradursi anche in un diverso modo di intendere la preghiera ogni giorno, nella vita concreta delle comunità cristiane.
Che spesso, dice don Monti, «sembrano più preoccupate della forma che dei contenuti della preghiera». Al contrario, «è dall’ascolto di Dio e dall’ascolto del mondo che giunge il suggerimento delle forme della preghiera più appropriate». Situazioni straordinarie e drammi, come una guerra o la chiusura di un’azienda, possono essere poste al centro di una celebrazione liturgica.

Ma una celebrazione può anche, in certi casi, «ridimensionare o mettere nella giusta luce fatti che sono enfatizzati in maniera eccessiva e ingiustificata dai media», sottolinea il moralista. E, comunque, la liturgia può essere un prezioso antidoto alle cadute nell’ovvietà che sono sempre dietro l’angolo. «La liturgia può aiutarci a rileggere in chiave evangelica concetti che sembrano scontati e abusati, come, ad esempio, la solidarietà».

Una riserva inesauribile, in definitiva, per guardare il mondo con il senso di quella paradossale amicizia che tanto amava Giuseppe Lazzati nella lettera scritta dall’ignoto autore cristiano all’indirizzo di Diogneto.

Andrea Giacometti

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