Alberto Cozzi, presidente dei Medici Cattolici di Milano, illustra il tema al centro di un convegno in programma a Tradate: «Un modo per interrogarsi sul senso del dono». Nella stessa occasione sarà presentata la “Carta delle buone pratiche per il pluralismo religioso e l'assistenza spirituale nei luoghi di cura”
di Annamaria
BRACCINI
Un convegno importante, nel quale si parlerà di etica laica e religiosa dei trapianti di organo, con lo stesso titolo di un volume presentato nel contesto della serata, promossa con il patrocinio di molti Enti – tra cui “Insieme per prenderci cura”, il cui comitato scientifico ha curato il saggio – e organizzata da Avis Tradate mercoledì 5 giugno, a partire dalle 20.30, a Villa Truffini (corso Bernacchi 2, Tradate). Momento di confronto interessante, soprattutto perché parleranno medici e rappresentanti di diverse fedi, cristiani, ebrei, musulmani, buddisti e induisti.
«L’argomento dei trapianti è ormai affrontato da molti decenni, in campo laico e anche religioso – nota Alberto Cozzi, presidente dell’Associazione dei Medici Cattolici di Milano, che concluderà il convegno -. Soprattutto Pio XII, negli anni Cinquanta, propose interventi rilevanti al riguardo, facendo riferimento soprattutto al trapianto delle cornee».
Dunque esiste da tempo anche un Magistero pontificio in materia…
Sì. Ne ha parlato anche Giovanni Paolo II nella Evangelium vitae, ribadendo che l’uomo non può disporre integralmente della propria vita, mentre Benedetto XVI giudica la donazione di organi una forma peculiare di testimonianza della carità. La possibilità di trasformare la donazione di organi in una dimensione religiosa fraterna è ormai assodato nella bioetica cattolica, in questo molto vicina a quella laica. Approfondire il tema dei trapianti è un modo per interrogarsi anche sul senso del dono e promuovere una cultura della donazione. Trapiantare organi vitali da un cadavere e anche tessuti non vitali da un soggetto vivente, se si rispettano la gratuità del gesto, la volontà del donatore, l’etica e il corretto uso dei protocolli sanitari, è assolutamente lecito per ottenere il bene di altre persone.
È fondamentale interrogarsi tra uomini di diverse religioni anche per costruire un dialogo per il bene del malato?
Certo. È molto bello – così come è capitato recentemente nel caso del “fine vita” -, trovare, sostanzialmente, grandi affinità e talvolta una vera e propria identità di vedute tra le diverse religioni. Emergono anche punti critici, naturalmente, ma in un campo come quello dei trapianti, dove il moltiplicarsi delle richieste è ormai enorme e drammatica la carenza cronica di organi, bisogna che troviamo il più possibile un linguaggio comune, senza scontri e identificando punti condivisibili semplicemente perché umani. Qualche argomento è fuori discussione: per esempio l’immoralità del commercio di organi, dato condiviso da tutti.
Verrà presentata anche una “Carta delle buone pratiche per il pluralismo religioso e l’assistenza spirituale nei luoghi di cura”. Quale è l’origine del documento?
È un tentativo semplice, ma nient’affatto ingenuo, di rispondere alla richiesta che viene da chi lavora in campo sanitario, che riscontra, ormai con estrema frequenza, una presenza multiculturale e multireligiosa. Siamo abituati ad avere il nostro “taglio”, cristiano e cattolico, per affrontare i problemi. Tuttavia, avendo in cura persone di altre fedi e credenze, è necessario e giusto avere la possibilità, attraverso una Carta così semplice, di comprendere come garantire il rispetto della persona e delle sue credenze nelle varie fasi, dall’inizio al “fine vita”
Da chi è stato elaborata la “Carta”?
Dal gruppo “Insieme per prenderci cura”, al quale, oltre ai Medici Cattolici Italiani, aderiscono anche altre confessioni cristiane e religioni. Abbiamo cercato, in un’accezione il più possibile universale, di offrire alcune linee, con onestà intellettuale. Ne è nato qualcosa, secondo me, davvero buono.