Il rapporto complesso, ma non antitetico, tra consacrazione e secolarità nell’intervento dell’Arcivescovo alla Giornata di studi nel 75mo della «Provida Mater Ecclesia»
di Annamaria
Braccini
«Un’occasione di comunione, confronto e approfondimento». È stata tutto questo la Giornata di studi dal titolo «La profezia della consacrazione secolare», svoltasi presso il Teatro Rosetum e articolatasi in più qualificati interventi. Assise annuale per riflettere sul cammino degli Istituti secolari, ma particolarmente significativa in questo 2022, per il 75mo anniversario della Costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia (2 febbraio 1947), con cui Pio XII approvò la nuova forma di vita consacrata nel mondo.
Promosso dal Vicariato episcopale per la Vita consacrata, in collaborazione con Ciis (Istituti Secolari della Diocesi di Milano), Usmi (Unione delle Superiori Maggiori d’Italia) e Cism (Conferenza Italiana Superiori Maggiori) -, l’incontro ha visto la relazione introduttiva dell’Arcivescovo che ha anzitutto incoraggiato «ad approfondire il percorso di santità che il Signore vi chiama a vivere».
La storia semplice degli Istituti secolari
Dalla lettura della storia degli Istituti secolari – definita «semplice e condotta dalla vita stessa» -, ha preso avvio il suo intervento: «Una storia semplice, fatta di persone appassionate del lavoro e della partecipazione alla vita della Chiesa, attente e vigili; persone che percepiscono le miserie e le sfide del proprio tempo e che lo Spirito rende sensibili ai sentimenti di Gesù. Persone che assumono responsabilità con quella naturalezza di chi capisce quale è il proprio ruolo, e percepisce la stima degli altri, avvertendo tutto questo come una risposta alla santità. Donne e uomini che hanno un posto nella comunità in cui vivono e lavorano, che incontrano altre persone, condividendo una vocazione».
È da questo ritrovarsi e riconoscere «la convergenza di sensibilità e di aspirazioni alla santificazione nel quotidiano», che prende corpo «l’esplicitazione di alcune regole che si possono proporre ad altri, con una forma regolata di consacrazione».
Un racconto complicato
Eppure – ha notato l’Arcivescovo – «si constata che il racconto di questa storia è complicato, per una sorta di imbarazzo nel Magistero della Chiesa, perché sembra che consacrazione e secolarità siano due parole difficili da conciliare» e che vi sia una tensione non sempre risolta tra i concetti di «consacrazione e secolarità, vita religiosa e vita consacrata, secolarità e laicità. Nessuno ha mai detto che la consacrazione è alternativa alla secolarità, ma le categorie paiono un poco irrigidite, sottolineando talvolta più le differenze che le convergenze». Da qui l’interrogativo: «Mi chiedo se sia possibile procedere con più scioltezza, in modo che l’autorità – il Vescovo, il Papa – permettano una crescita senza incasellare le persone e le istituzioni in categorie».
Poi un secondo punto della riflessione, centrato sull’icona biblica di san Giuseppe.
San Giuseppe, modello della vita consacrata
«Mi pare suggestivo immaginare che Giuseppe, figlio di Davide, sposo di Maria, possa ispirare una spiritualità che configura e incoraggia il percorso di santità. La profezia di Giuseppe è silenziosa, laboriosa, obbediente. San Giuseppe è stato un laico che ha vissuto nella verginità, nell’obbedienza a una serie di annunciazioni, nella povertà, non nel senso di una privazione del necessario, ma guadagnando il pane con il suo lavoro. E appunto fare il falegname lo ha identificato. La vicenda personale di San Giuseppe può illustrare la verginità come scelta di vita e di un rapporto familiare casto e fedele, come un affetto reale, ma senza possesso».
Insomma, vivere giorno per giorno la propria vocazione e consacrazione con i piedi ben pianatati nella realtà del lavoro e dell’impegno, ma con uno sguardo “alto”, come del resto chiede il Papa, citato dal Vescovo. «Papa Francesco ribadisce la missione non solo di abitare il mondo, ma di portare la secolarità dentro la Chiesa in modo che essa si liberi da un certo clericalismo, da logiche interne troppo asfissianti. Come dice il Papa, dovete fare in modo che dentro la Chiesa suoni il gemito del mondo, voi che vivete nel mondo. Cosa avete da dire alla Chiesa di oggi, quale linguaggio userete? Con quale stile vivrete la vostra vocazione?».
«Mi aspetto da voi la freschezza, la novità, la provocazione della profezia», la consegna finale dell’Arcivescovo, che ha successivamente presieduto la celebrazione eucaristica nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Dove, nell’omelia (leggi qui), ha richiamato l’importanza degli Istituti secolari, che attualmente, in Diocesi di Milano, sono 32 per un totale di 697 membri (in Lombardia 1198), impegnati nel mondo del lavoro e del volontariato a ogni livello, dalla politica e amministrazione pubblica all’insegnamento, dalla sanità a molte libere professioni.
L’omelia
«Gesù ha abitato la terra come luogo per la sua missione – ha ricordato -: rivelare il Padre e realizzare la nuova ed eterna alleanza di Dio con il suo popolo, i suoi figli. Perciò non è trattenuto dal successo e dalla popolarità e non fugge dal fallimento e dall’impopolarità. Visita ogni situazione per rivelare che Dio ama sempre, e ama con un amore che rende capaci di amare». Per questo, come recita il motto episcopale dell’Arcivescovo – che il 24 settembre ha festeggiato i cinque anni del suo ingresso solenne in Diocesi -, «la terra è piena della gloria di Dio».
«Ogni luogo, ogni tempo è adatto a ospitare la gloria di Dio. I discepoli di Gesù vivono di questo dono e sono chiamati a questa testimonianza: vivere la vita di Dio, essere tempio dello Spirito santo, l’amore che rende capaci di amare. Sempre. Dappertutto. Nei monasteri e negli uffici, in famiglia e in solitudine, nelle chiese e per le strade, in banca e a scuola, in ospedale e nelle case popolari».