Il decennale del progetto del Comitato milanese festeggiato in Curia con l'Arcivescovo, tra il bilancio di quanto realizzato e l'annuncio di nuovi progetti: «Da voi un aiuto ad affrontare l’emergenza educativa, con il gusto della reciprocità e seminando per dare frutto»
di Annamaria
BRACCINI
Tanta ammirazione con cui esprimere tutta l’importanza dello sport per la crescita dei giovani, per l’impegno della comunità educante, per la possibilità di essere solidali e fratelli anche a latitudini diverse del pianeta, e poche, ma fondamentali, parole. Sono quelle che l’Arcivescovo ha rivolto all’oltre centinaio di rappresentanti di società sportive e club di base del Centro Sportivo Italiano, riuniti nel salone dell’Arcivescovado durante l’incontro dedicato all’iniziativa «Csi per il mondo».
Progetto di cui si è festeggiato il decennale (per essere più sportivi, l’11esimo anniversario) e al quale aderiscono oggi oltre 30 realtà, contando ormai circa 350 giovani che, in questi anni, hanno dedicato tre settimane delle loro vacanze estive ad animare le giornate di migliaia di bambini fortemente disagiati. Ragazzi, espressione dello sport legato a parrocchie e comunità diocesane, che per portare un sorriso e un pallone hanno raggiunto Paesi ai quattro angoli del mondo: da Haiti al Camerun, dal Congo al Madagascar, Kenya, Ruanda, Albania, Bosnia, Iraq, Brasile, Cile, fino ad arrivare alla Repubblica Domenicana e al Bangladesh, «il nuovo arrivato», come ha ricordato il presidente Csi Massimo Achini.
Le testimonianze
Durante la serata sono stati collegati, attraverso brevi video, gli aderenti al progetto in alcune di queste Nazioni, che hanno dato voce all’attesa di nuovi incontri. Come i padri del Pime dal Bangladesh, che si stanno preparando da quasi tre anni, o il presidente Csi del Camerun che sottolinea: «Il programma “Csi per il mondo” porta la pace e la gioia anche nei nostri più sperduti villaggi». E poi la coppia referente per la Repubblica Domenicana, appena scappata da Haiti, e i coordinatori rimasti nel martoriato Paese caraibico. Ragioni e situazioni differenti da ciò che raccontano poi, brevemente, i rappresentanti delle 21 realtà presenti in Arcivescovado, ma che insieme intessono «la grande rete della solidarietà», per usare un’altra espressione di Achini, «che può contare anche su amici famosi, come grandi nomi dello sport e della dirigenza».
Così c’è chi ha deciso di aderire fin dall’inizio, quando l’iniziativa era rivolta solo ad Haiti, chi ha appena iniziato chi vuole «essere non solo una Chiesa in uscita, ma una società sportiva in uscita» e quelli che, semplicemente, hanno scelto di regalarsi l’iscrizione per il centenario della loro realtà di basket e pallavolo parrocchiale, entrando nella grande famiglia internazionale del Csi che vede alleate le grandi realtà con 400-500 tesserati e decine di volontari, fino alle più piccole. Particolarmente interessante anche lo svilupparsi di gemellaggi: intere comunità e parrocchie della Diocesi hanno finanziato di tasca loro il viaggio dei giovani volontari. Così come la sinergia avviata con l’Esercito Italiano per studiare «la fattibilità di un viaggio in Somalia, dove cerchiamo di capire se sia possibile un intervento», ha notato ancora il presidente del Csi.
Dopo aver autografato il pallone – già firmato dal vescovo di San Pedro (Repubblica Domenicana), che la responsabile del programma Valentina Piazza – riporterà l’anno prossimo siglato anche da tutti i Vescovi delle Diocesi visitate – l’Arcivescovo parla di aspettative e responsabilità
L’intervento dell’Arcivescovo
«In questo momento, in cui stiamo uscendo dalla tragedia del Covid, registriamo la realtà di proporzione drammatica anche nelle nostre terre di ragazzi feriti che stentano ad abbracciare la vita. Per questo penso che la proposta dello sport, soprattutto di quelli di squadra, e la dedizione di allenatori e volontari, sia una provvidenza. Tireremo fuori i ragazzi dalla depressione non con parole magiche, ma con la possibilità di entusiasmarsi. Lo sport è una parte, un invito, una sfida che va in questa direzione: un aiuto ad affrontare l’emergenza educativa se indica che c’è una meta da raggiungere».
Poi una seconda parola, «la reciprocità», perché «si riceve mentre si dà. Questo dice ai giovani che possono avere stima di loro stessi, che c’è gioia nel ricevere come nel dare. Il tema della povertà, della periferia, dell’emarginazione non chiede solo beneficenza, ma di attivare nell’altro il gusto di dare in una reciprocità, comunicando il messaggio che ognuno può contribuire al bene comune. Siamo tutti benefattori e beneficati, tutti destinatari e protagonisti».
Infine, il supporto fecondo: «Penso che si tratti solo di dare del tempo, ma far sì che quello che si semina possa portare frutto, potendo durare nel tempo. Siamo partiti, ma così abbiamo anche imparato a camminare».
«I nostri missionari, che sono in giro per il mondo, possono essere vostri interlocutori. Sentitevi incoraggiati da me e dalla Chiesa di Milano», ha concluso l’Arcivescovo annunciando che a Macapà (Brasile), nell’ottobre prossimo, arriveranno due sacerdoti ambrosiani fidei donum e uno di Brescia, incaricati di far forma a una nuova parrocchia intitolata a San Paolo VI. Quella stessa Macapà, dove è attiva la Fondazione Marcello Candia e dalla quale è tornato di recente don Mario Antonelli, vicario episcopale di Settore – accanto all’Arcivescovo anche l’assistente ecclesiastico del Csi, don Stefano Guidi – che ha raccontato il suo sogno. «Giocare metà partita della vita nel nord del mondo e metà nell’emisfero sud, nello stadio della città dove la linea mediana coincide esattamente con il parallelo dell’equatore».