Il teologo don Paolo Carrara illustra la Giornata di studio in programma il 15 febbraio alla Facoltà teologica: «Dobbiamo accettare di essere una delle tante voci, ma senza rinchiuderci su noi stessi»
di Annamaria
Braccini
13«Il convegno si interrogherà su come le trasformazioni dell’attuale contesto culturale, in Europa e nel nostro Paese, abbiano ricadute sulle modalità con le quali la fede viene vissuta, non solo a livello individuale, ma anche circa la possibilità di una presenza complessiva della Chiesa nello spazio pubblico». Don Paolo Carrara, presbitero della Diocesi di Bergamo e docente di Teologia pastorale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, definisce così la logica della tradizionale Giornata di studi annuale in programma martedì 15 febbraio, dalle 9.30 alle 17, presso la sede della Facoltà (piazza Paolo VI 6, Milano) e online, con il titolo «La possibilità della fede. Testimoniare il Vangelo nello spazio pubblico» (vedi qui la presentazione).
Perché questa scelta?
Abbiamo immaginato il convegno volendo ascoltare anche alcune voci rappresentative di Chiese europee, come quella francese e tedesca, certo diverse dalla nostra, ma allo stesso tempo segnate da trasformazioni analoghe, se non più radicali. Non a caso, nel suo intervento il sociologo Giuseppe Giordan parlerà di «spaesamento» per definire il modo con cui, da cristiani, stiamo provando – direi con fatica – a interpretare questo tempo e ad abitarlo.
Nella prolusione della ministra per la Giustizia Marta Cartabia – scritta per l’inaugurazione dell’Anno accademico della Facoltà – si affronta la questione del rapporto con la laicità dello Stato e del modello, sostanzialmente fallito, di laicité alla francese. In Italia come siamo messi?1113
Una condizione di sostanziale maggioranza, in rapporto a molteplici minoranze, nella nostra situazione ha consentito fino a qualche decennio fa una legislazione complessivamente in sintonia con un umanesimo cristiano. Adesso, tuttavia, si aprono nuovi scenari: si pensi a tutto il dibattito apertosi sul fine vita. Oggi non possiamo più basarci sull’idea di essere una maggioranza di fronte a tante piccole minoranze. La vera domanda, sulla quale credo che l’assise ci aiuterà a riflettere, è come accettare di essere anche noi una delle tante voci, senza però rinchiuderci su noi stessi, ma avendo ancora il desiderio di annunciare la bellezza del Vangelo e continuando, per quanto possibile, a fecondare lo spazio pubblico. L’ascolto del cammino fatto dalla Chiesa di Milano di questi ultimi decenni, tramite la relazione di monsignor Bressan, fornirà un’utile pista di confronto.
I cristiani vogliono e possono essere ancora ascoltati, a fronte di un’irrilevanza fin troppo sottolineata?
Oggi percepiamo che c’è molta indifferenza. È una delle fatiche che, in ambito ecclesiale e per i diversi ministeri che ciascuno vive, vengono sperimentate soprattutto rispetto alla popolazione giovanile. Questa condizione va riconosciuta con onestà. Del resto, le comunità cristiane stesse paiono spesso affaticate e non così desiderose di annuncio. Al contempo, non dobbiamo concentrarci solo su questi elementi negativi. Non dobbiamo dimenticare tutti quei segni di bene – inclusi i tentativi pastorali in atto – presenti all’interno delle nostre comunità. Queste ultime sono certo più sfilacciate – gli ultimi due anni di pandemia non hanno aiutato -, ma ancora vive ed è in ascolto del loro riconfigurarsi che dobbiamo provare a riconoscere dove lo Spirito sta conducendo la Chiesa. Si tratta di metterci in discussione, anche con il contributo dell’intelligenza pastorale. Vanno ricomprese le dimensioni fondamentali che strutturano la comunità cristiana – a questo contribuirà l’intervento ecclesiologico del professor Rota in dialogo con la riflessione statunitense – e al contempo bisogna chiedersi se le forme organizzative che abbiamo ereditato sono ancora davvero a servizio di una fede per l’oggi o sono ormai una zavorra.
Cosa si attende dal convegno?
Sono due le aspettative. In primis, realizzare un confronto a più voci che sia motivo di “aggiornamento” e di rilancio delle discussioni in atto, per avere a disposizione nuovi stimoli su cui riflettere, a servizio della riflessione teologica e più ampiamente del cammino ecclesiale. Il secondo obiettivo è dimostrare che la riflessione teologica ha una sua serietà, come ogni altro ambito del sapere, e che quanto condivide in dialogo con altre discipline – la sociologia, per esempio, sarà un partner prezioso di questo convegno -, può essere di utilità per il dibattito pubblico.