In Santo Stefano la Veglia di preghiera ecumenica in memoria delle vittime della criminalità organizzata, «uno spirito maligno che non è però invincibile», come ha rilevato l’Arcivescovo nella sua riflessione
di Annamaria
Braccini
1069 nomi per non dimenticare. Sono quelli che risuonano nella Basilica di Santo Stefano, scanditi in una litania di dolore e denuncia che si fa preghiera, insieme a quelli degli 88 morti di Cutro, tutti vittime di un male che non conosce pietà. Nomi famosi che evocano le grandi tragedie pubbliche della nostra storia nazionale e nomi di sconosciuti, magari di povera gente migrante, accomunati da un destino tragico e violento.
Alla vigilia della 28ma Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie – promossa da Libera e Avviso Pubblico, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e con il patrocinio del Comune e della Regione Lombardia -, Milano accoglie con una Veglia di preghiera ecumenica i 500 familiari delle vittime (dopo l’intenso pomeriggio della loro Assemblea nazionale svoltasi presso l’Università degli Studi) e i tanti altri provenienti da tutt’Italia.
Un momento ricco di gesti simbolici, di comunione anche tra Chiese, per una Veglia infatti copresieduta dall’Arcivescovo, dalla pastora della Chiesa evangelica valdese Daniela Di Carlo (presidente di turno del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano) e da padre Traian Valdman, vicario eparchiale della Chiesa ortodossa romena. Accanto a loro altri ministri di confessioni cristiane, come l’archimadrita del Patriarcato di Mosca padre Ambrogio Makar e alcuni sacerdoti impegnati nei cammini ecumenici. In prima fila, con la fascia tricolore, la vicesindaco Anna Scavuzzo rappresenta il Comune. Non mancano rappresentanti della politica nazionale – tra loro Rosy Bindi, già presidente della Commissione parlamentare antimafia – e della società civile.
La scelta di Milano
Una scelta non casuale, quella di Milano, per la Giornata 2023, che torna in Lombardia dopo 13 anni, come spiega don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera: «Siamo qui per commemorare le cinque vittime della strage di via Palestro di trent’anni fa e il decennale delle esequie di Lea Garofalo, una donna coraggiosa che si ribellò all’universo chiuso e spietato della ’ndrangheta, ma anche per ricordare e ricordarci tutti che le mafie sono una realtà pervasiva e diffusa a livello nazionale e internazionale». Altrettanto indicativo è il luogo in cui si celebra il rito, la basilica di Santo Stefano, nel cuore della città e oggi parrocchia personale dei migranti. E fa impressione vedere anche i 13 ritratti di martiri salvadoregni – laici, preti, suore -, opera dell’artista Gothy Lopez, esposti in una piccola mostra presso la Cappella Trivulzio della basilica.
«Trasformiamo in preghiera i nostri dolori», dice don Ciotti, avviando la Veglia e rendendo palpabile la convinzione condivisa che «è possibile» (per usare il titolo della Giornata) sconfiggere tutto ciò che l’Arcivescovo, nella sua riflessione, definisce «lo spirito maligno che si approfitta di chi è debole, che pretende di dominare la città perché spaventa tutti tormentando qualcuno».
La riflessione dell’Arcivescovo
«Lo spirito maligno è abile nel creare illusioni: si presenta come un sistema invincibile, ma in realtà abita in persone che gli vendono l’anima; si presenta come capace di dare sicurezza e benessere, ma diffonde spavento e miseria. Lo spirito maligno è inquieto, è tormentato in se stesso, è intrappolato nelle sue trame. La paura che incute nelle sue vittime diventa la sua paura. Lo spirito maligno è miope: vede i risultati vicini e non vede come va a finire la storia nella desolazione e nella umiliazione, nel tormento e nella disperazione, in un inferno di solitudine, mentre intorno a lui sorgono i fantasmi delle sue vittime e lo tormentano notte e giorno».
Eppure, continua l’Arcivescovo, «i figli e le figlie della luce cacciano via lo spirito maligno perché sono uomini e donne di fede, credono in Dio, perciò credono in se stessi e confidano nel bene che possono fare: non si sentono invincibili, né tantomeno si credono perfetti, ma credono in Dio e camminano sulle sue vie. Non sempre vedono i risultati, ma continuano a seminare; non nascondono di essere talora scoraggiati, arrabbiati, e di sentirsi abbandonati, ma sanno di non essere mai soli. Perciò credono nella libertà dei figli di Dio che possono scegliere il bene invece che il male, che possono resistere alle tentazioni del guadagno spremuto dalle lacrime dei poveri e dalla paura dei deboli. Credono in coloro che sono a servizio del bene comune e li incoraggiano a costruire un convivere nella legalità, nella giustizia, e ricordano i troppi servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro onestà e professionalità. Non si aspettano di vincere rapidamente tutte le mafie, ma credono che la battaglia si vince giorno per giorno, incontro per incontro, persona per persona».
L’impegno della Chiesa
Concetti, questi, ribaditi dall’Arcivescovo Mario a margine, parlando con i giornalisti e sottolineando la necessità di condannare le mafie, ma anche di andare oltre.
«Occorre una resistenza analitica – osserva infatti -, di fronte a ogni pertugio attraverso il quale si possa infilare il denaro mafioso, il ricatto, l’approfittarsi delle debolezze delle aziende e delle persone per inquinare l’economia reale». Una «denuncia e un risveglio di coscienze vigili» per cui i cristiani possono fare molto, curando «l’educazione, ad esempio, dei giovani a rischio di cadere vittime di dipendenze come droga o gioco d’azzardo che alimentano il mercato delle mafie». Senza dimenticare «la prevenzione» che si può attuare con il sostegno «alle aziende e alle persone in grave difficoltà economica perché non accolgano proposte di aiuto in denaro di origine ambigua», come si impegna a fare «la Fondazione antisura San Bernardino, creata dai Vescovi lombardi».
A chiudere la Veglia, infine, sono la preghiera comunitaria di intercessione, recitata a più voci, il Padre Nostro, la benedizione e il canto Memoria eterna eseguito dal Coro ortodosso del Patriarcato di Mosca composto in larga parte da fedeli ucraini. È ormai sera avanzata quando, sul sagrato, un flash mob riunisce tutti, intorno a un grande cuore luminoso formato da tante fiammelle poste a terra e al cui centro un violinista suona l’Halleluja di Leonard Cohen.
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