Sessant’anni dopo l’apertura del Vaticano II, la ricchezza di quell’evento si rivela nel tentativo di rinnovare lo stile di vivere e comunicare la fede, anticipatore del cammino in cui è impegnata oggi la Chiesa

di don Alberto Cozzi
Preside dell’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano

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La Basilica di San Pietro durante una seduta del Concilio

A sessant’anni dall’apertura (11 ottobre 1962) la lezione del Concilio non ha perso smalto, anzi, si può dire che il cammino sinodale della Chiesa oggi ha riaperto una fase nuova e promettente di ricezione, nella quale riscopriamo la ricchezza profetica del Vaticano II. Infatti, proprio l’esigenza di creare uno “stile sinodale” riattualizza l’intenzione conciliare di trovare un nuovo stile nel vivere e comunicare la fede, ovvero un nuovo modo di abitare il mondo moderno alla luce del Vangelo di Cristo. Se poi intendiamo lo “stile” come riuscita corrispondenza tra forma e contenuto, ritrovano vigore le indicazioni di papa Giovanni XXIII alla vigilia dei lavori conciliari: «Lo scopo principale di questo Concilio non è la discussione di questo o quel tema della dottrina fondamentale della Chiesa, in ripetizione diffusa dell’insegnamento dei Padri… Altra cosa infatti è il deposito della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina, e altra cosa è la forma con cui queste vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata» (Discorso ai membri della Commissione Centrale, giugno 1961). Raccogliamo tre aspetti attualissimi di questa eredità conciliare.

Come la Chiesa dice se stessa?

Un primo aspetto è lo sforzo della Chiesa di dire se stessa, il suo senso e la sua missione. Si può dire con Karol Wojtila (Alle fonti del rinnovamento. Studio sull’attuazione del Concilio Vaticano II, 2007) che non si trattava di concentrarsi sulla Chiesa-oggetto di fede («credo la Chiesa»). Si è piuttosto considerata la Chiesa quale soggetto di fede, comunità di credenti. Proprio alla Chiesa-soggetto di fede è stata posta la domanda preliminare: «Chiesa, cosa dici di te stessa?». Era questa una domanda che riguardava l’autocoscienza della Chiesa nei diversi soggetti. Ma tale domanda introduttiva sulla Chiesa implicava una serie di domande ulteriori: «Che cosa vuol dire oggi essere credente, essere cristiano, essere nella Chiesa e insieme nel mondo contemporaneo?». Si tratta di una domanda complessa, perché presuppone non solo la verità stessa della fede, la pura dottrina, ma esige che questa verità venga collocata nella coscienza dell’uomo di oggi e che sia definito l’atteggiamento o meglio i vari atteggiamenti in cui si configura l’essere membro credente della Chiesa.

Al passo con i tempi

È a questo livello che si coglie la portata «pastorale» del Concilio, che costituisce il secondo aspetto rilevante della sua eredità. Ciò che c’è in gioco è la risposta al rivelarsi di Dio nelle condizioni del tempo. I diversi soggetti della ricezione conciliare (pastori, religiosi, laici) non si pensano più solo a partire da definizioni dottrinali più o meno aggiornate, ma in base alla capacità di accogliere efficacemente, nel tempo che si sta vivendo, il Dio che si rivela, strutturando uno spazio di esperienza di vita cristiana credibile e luminosa (è la lezione di Dei Verbum). Non si tratta più solo di un problema di trasmissione della fede, ma di una sfida interna allo stesso ascolto e quindi alla ricezione del Vangelo. La Chiesa conciliare prende progressivamente coscienza che la rivelazione non esiste al di fuori della sua ricezione storica e culturale e quindi chiede uno sforzo d’aggiornamento, che renda oggi possibile l’ascolto del Vangelo.

In uscita nel mondo di oggi

Il terzo aspetto è l’apprendistato a cui è chiamata la Chiesa nel dirsi in luoghi “altri” rispetto a quelli convenzionali, luoghi dell’umano ferito, marginale, periferico, in cui però emerge con più intensità la forza del Vangelo (è la lezione di Gaudium et Spes, ma anche di Nostra Aetate e Dignitatis Humanae). La Chiesa intende abitare nel mondo di oggi, condividendone valori e attese, problemi e bisogni. Le difficoltà e le tensioni che questa scelta comporta emergono in modo chiaro e concreto dalla storia post-conciliare. Si trattò di un processo di apprendimento di un nuovo stile di presenza nella storia degli uomini, segnato da fatiche, delusioni e nuovi slanci, nei quali la Chiesa scoprì di non possedersi più pacificamente, ma di doversi ricevere volta a volta dal suo Signore in luoghi insospettati o non abituali (comunità di recupero, carceri, ospedali, scuole). Solo lasciandosi sorprendere e anche spiazzare dalla creativa azione dello Spirito la Chiesa trova il suo luogo nel mondo di oggi, un luogo che le ha permesso di ridare voce al Vangelo di Cristo, di trovare linguaggi per dire cose che nessuno osava più dire o sperare.

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