Stranieri in attesa di permesso di soggiorno, prostitute e transessuali vaccinati grazie ai servizi della Caritas ambrosiana. Nadia Folli, tra le responsabili dell’Unità di strada Avenida: «La salute è un diritto per tutti, regolari e non»
di Luisa
Bove
In una manciata di mesi ha ricevuto centinaia di messaggi whatsapp, Nadia Folli – una delle responsabili dell’Unità di strada Avenida di Caritas ambrosiana che ogni settimana assiste prostitute e trans a Milano -, per aver incoraggiato, sostenuto e aiutato in vari modi le persone irregolari che non avevano accesso al vaccino anti Covid. «Grazie mille Nadia, sei gentilissima. Vado al CityLife con il codice di prenotazione. Spero che andrà tutto bene», dice un’albanese. E in agosto manda un altro vocale: «Scusa se ti ho fatto tribolare per questo vaccino, ti ringrazio per i tanti consigli e perché mi hai sopportato. Comunque finalmente sono riuscita a fare il Pfizer. Quando torni a Milano ti voglio vedere, così beviamo qualcosa insieme». Un’altra donna di origine peruviana: «Grazie, grazie, Nadia! Ho fatto il vaccino, tutto bene, ora sono a casa tranquilla». I messaggi non si contano, sono davvero tanti e qualcuna invia pure un selfie dal centro vaccinale sorridendo dietro la mascherina.
Anche il Servizio assistenza immigrati di Caritas ambrosiana si è occupato della campagna vaccinale degli «invisibili». Gli operatori hanno assistito 103 persone per le prenotazioni online, il 52% donne e il 48% uomini; tra loro irregolari (54%), con permesso di soggiorno in corso di regolarizzazione (30%), scaduto e non rinnovato (13%) e comunitari (3%).
«La questione del diritto ai vaccini per gli irregolari lo abbiamo posto subito – esordisce Folli -, quando sono stati a disposizione, sapendo che non erano per loro, ma abbiamo iniziato a parlarne, anche perché sapevamo di trovarci di fronte a diffidenza, ignoranza, controinformazione e fake news che a loro arrivavano. Soprattutto le donne più giovani erano molto diffidenti, se non addirittura imbottite di teorie fantasiose, alcune sconosciute anche a noi».
E come le avete convinte?
Noi ci siamo vaccinate e abbiamo portato loro la nostra esperienza, dimostrando che di fronte al Covid eravamo tutti sulla stessa barca. Abbiamo iniziato a vaccinarci in primavera e solo qualcuna delle più adulte aveva già chiesto se il vaccino era a disposizione anche per loro e quando. Noi le abbiamo rassicurate che stavamo lottando per loro, perché la salute è un diritto per tutti, indipendentemente dalla regolarità o meno. Abbiamo iniziato ad aiutare le donne e i trans già regolari, richiedenti asilo o in possesso della tessera sanitaria. Erano le più grandi e le più convinte.
Altre hanno seguito l’esempio?
Beh, loro hanno fatto da apripista. A giugno, quando hanno aperto le prenotazioni dei 40-50enni italiani, abbiamo avuto le prime vaccinate. Poi man mano sono state loro a portare testimonianza alle persone vicine in strada e anche al di fuori, agli amici. Quindi alla fine abbiamo supportato diverse persone che neppure conoscevamo: amici e amiche diffidenti che hanno deciso di vaccinarsi. E quando in agosto si è iniziato a parlare del Green pass, sono arrivate altre richieste di aiuto.
Merito quindi del passaparola tra le donne…
Certo. Per molte è stata anche una scelta di cui non erano convinte, ma per necessità, perché se volevano spostarsi occorreva il Green pass. Tuttavia tante ammettevano di essere in ansia e di avere paura, quindi ci siamo trovate a dare supporto emotivo con lunghe chiacchierate in strada. Abbiamo aiutato le donne al momento della prenotazione, il giorno del vaccino e in quelli successivi per sapere come stavano, ascoltando i loro sintomi e le eventuali reazioni al farmaco. Tutto questo ha portato altre donne a dire: «Allora lo faccio anch’io».
Oggi qual è la situazione?
Solo alcune tra le più giovani provenienti dall’Est lo vogliono fare. Invece le persone transessuali o le donne più adulte (albanesi, rumene, sudamericane…) che hanno scelto di vaccinarsi si sono lasciate accompagnare in questo percorso, anche nel supporto emotivo. Un’esperienza bella in strada l’abbiamo avuta con la prima donna che si è vaccinata: quella di fronte che non voleva saperne e un’altra non sapeva come fare. Alla fine si sono accompagnate a vicenda. La prima mi ha fatto quasi da segretaria aggiornandomi sullo stato di salute delle compagne dopo che si erano vaccinate.
La salute per chi si prostituisce è un aspetto delicato, spesso le persone non si curano. La somministrazione del vaccino può diventare l’occasione per il primo accesso al servizio sanitario nazionale?
Questo sì. Ma penso anche che aver aiutato in pochi mesi così tante donne attraverso telefonate, messaggi, lunghi colloqui in strada o accompagnandole ai centri vaccinali, ha accomunato noi e loro nell’affrontare lo stesso problema, quello di difendersi dal Covid. Insomma, ha creato fiducia nei nostri confronti e in quelli del servizio di Avenida, di cui raccoglieremo ancora i frutti. Noi abbiamo sempre accompagnato donne a fare uno screening, un pap-test o una visita, ma l’esigenza di vaccinarsi ha impattato molto, perché il tema della salute ha coinvolto tante persone che hanno ricevuto un aiuto concreto. Adesso sto stampando e distribuendo moltissimi Green pass.