Il futuro Beato era chiamato «il prete dei ragazzi»: prestò sempre particolare cura alla loro formazione alla vita cristiana. E la sua lezione educativa è rimasta nella loro memoria
di Ennio
Apeciti
Responsabile del Servizio diocesano per le Cause dei santi
«L’oratorio era il suo campo di ministero prediletto». Così dichiarò un testimone nell’Inchiesta diocesana per la beatificazione di don Mario Ciceri. Un altro aggiunse: «Era chiamato per antonomasia “il prete dei ragazzi”». Così lo ricordavano tutti, ancora dopo cinquant’anni, quando iniziò il Processo diocesano. La fama del suo impegno non si era mai spenta e furono proprio i ragazzi di “allora”, fatti uomini maturi (e forse anziani), che sostennero tenacemente la Causa lungo i decenni, fondando anche un’Associazione, intitolata proprio a lui, l’Associazione Don Mario Ciceri, dal programma affascinante: «Aiutare tutti in modo che nessuno se ne accorga. Promuovere tutte le iniziative senza apparire in nulla».
Il modello educativo
Era lo stesso modello educativo di don Mario, quello con il quale plasmò i ragazzi e i giovani del suo oratorio. Chiedeva loro la fedeltà alla catechesi, la confessione frequente, intesa come una piccola “direzione spirituale”, rinnovando propositi buoni. Sollecitava alla comunione quotidiana: in quel tempo era molto diffusa e don Mario – come numerosi preti del tempo – attendeva in chiesa già dalle 5 chi volesse “ricevere Gesù” prima di correre a scuola o sul posto di lavoro. Invitava a inserire nella propria giornata anche una “visita” al Santissimo Sacramento, a sostare almeno dieci minuti presso il Tabernacolo, per dialogare con Colui che lo abita, il Signore Gesù. E almeno una volta l’anno proponeva ai più impegnati quei minicorsi di esercizi spirituali che si tenevano a Villa Sacro Cuore di Tregasio-Triuggio.
La proposta di don Mario era quella fatta a tutti i ragazzi e i giovani di tutti gli oratori. E ne nacquero dei santi. È bello scoprire che era lo stesso programma di vita cui furono fedeli Santa Gianna Beretta Molla e San Riccardo Pampuri; i Venerabili Marcello Candia e don Enzo Boschetti della Casa del Giovane di Pavia. Da questa intensa vita spirituale scaturiva la forza e l’entusiasmo dell’impegno nell’essere testimoni convinti e credibili: «Gettarci apostoli di bene coll’esempio, colla parola», questo era il suo impegno, come ricordava dopo cinquant’anni uno dei ragazzi di allora, uno dell’Azione Cattolica, che don Mario proponeva ai giovani più generosi.
Mirare in alto
Era lo stile proposto a tutti i giovani che frequentavano l’oratorio in quel tempo: crescere nel rapporto con Dio, per crescere nella carità verso i fratelli. Il Beato cardinale Schuster lo riassunse proprio in quegli anni con uno splendido libro, Memoriale ad parochos, per ricordare ai preti ambrosiani di mirare sempre in alto, di non mai educare alle mezze misure; di non accontentarsi della “media”, perché essa è sinonimo di “mediocrità”: «Ai giovani – diceva il Cardinale – vita di Fede, Comunioni, Catechismi, Conferenze ecc. non bastano. La loro Fede ha bisogno dello sbocco della Carità Cristiana. È nelle periodiche visite dei poveri a domicilio, degli infermi negli ospedali, dei carcerati, dei mezzi morti di freddo negli abbaini, nei bassi fondi delle grandi città, che i nostri bravi giovani trovano la realizzazione completa della loro vita Cristiana».
È una provocazione che mi è sempre apparsa terribilmente – o splendidamente – attuale, perché richiama la regola di san Benedetto: «Ora, labora et noli contristari. Prega, impegnati e non essere triste». Regola che ha plasmato l’intera Europa. Regola alla quale dobbiamo tornare, se vogliamo ancora come sempre sperare.