Lunedì 10 gennaio, alle 14.30, nella Comunità minorile Kayros sarà presentato il libro di Andrea Franzoso su un adolescente difficile diventato educatore. Parla don Claudio Burgio, cappellano al Beccaria
di Luisa
BOVE
Una storia a lieto fine, quella di Daniel Zaccaro, che verrà raccontata lunedì 10 gennaio, alle 14.30, presso la sede della Comunità Kayros (via XV Martiri 26 a Vimodrone) dove il giovane era stato accolto anni fa. La sua vicenda è stata raccolta nel libro Ero un bullo (De Agostini, 256 pagine, 13.90 euro) da Andrea Franzoso. Oltre all’autore e al protagonista saranno presenti anche il ministro della Giustizia Marta Cartabia, monsignor Luca Raimondi, vescovo ausiliare e vicario episcopale della Zona di Rho, e alcune autorità pubbliche.
«Si tratta di un romanzo biografico, imperniato sulla vicenda di Daniel – spiega don Claudio Burgio, presidente di Kayros e cappellano al carcere minorile Beccaria – che De Agostini ha deciso di pubblicare perché quella di Daniel è una storia esemplare, che raggiungerà anche le scuole rientrando in un percorso di educazione».
Daniel è uno dei tanti ragazzi passati dalla sua Comunità…
Sì. È stato tre anni al Beccaria, poi è venuto a Kayros in due riprese: la prima è durata due anni, fino al termine della sua condanna, e poi per un’altra vicenda penale è stato da me altri cinque anni o forse più. Diciamo che nell’arco di un decennio Daniel ha fatto tutto il suo percorso, fino a tornare a studiare e a laurearsi in Scienze dell’educazione. Oggi è un educatore.
E lavora nella Comunità Kayros?
Aveva iniziato da noi come educatore dimostrandosi molto bravo, capace di dialogare con i ragazzi. Adesso sta completando la laurea magistrale, si sta orientando verso la formazione e ha altre prospettive. Quindi dopo anni abbiamo fatto la scelta, giusta, di esplorare anche il mondo sociale. Adesso lavora nel servizio di zona di Quarto Oggiaro e questo è ancora più bello.
Quanti sono oggi i minori che stanno scontando una pena?
In Italia i ragazzi minorenni detenuti nei vari istituti di pena sono circa 450. Al Beccaria, anche per motivi di ristrutturazione dell’edificio, in questo momento sono circa 35 (la capienza sarebbe di 70 posti letto). Il numero corrisponde al criterio della giustizia minorile, perché il carcere è inteso come extrema ratio; quindi la tendenza è quella di collocarli prevalentemente nelle comunità come la nostra. Il carcere viene utilizzato solo nelle situazioni più gravi, nelle recidive o per i reati peggiori.
Il Beccaria quindi non riesce a ospitare tutti?
Da Milano, per mancanza di posti, molti ragazzi vengono purtroppo trasferiti nelle altre carceri italiane, per cui tanti vanno al centro-sud: questo è un problema, perché sono lontani dalle famiglie e in una condizione di isolamento ancora peggiore. Una situazione annosa, ancora lontana da una soluzione. Viste le proporzioni, perché il Beccaria copre tutta la Lombardia, il carcere è insufficiente.
Oggi qual è l’età media dei ragazzi in detenzione?
L’età si sta abbassando. In questo momento al Beccaria ci sono molti ragazzi di 14-15 anni, mentre prima erano sui 17 e poi diventavano maggiorenni in carcere. Invece adesso molti sono più giovani. Ora anche nelle comunità ci arrivano piccoli, quindi molto incoscienti, instabili, senza un principio autoritario: di conseguenza magari scappano e poi tornano.
Vengono da famiglie difficili?
Non tutti, il fenomeno è trasversale. C’è come una sorta di delirio, per cui anche ragazzini di famiglie molto tranquille, pure dei nostri oratori, effettivamente non sanno più arginare le cattive condotte, favorite molto dai social. Questo è un dato significativo e drammatico: i social amplificano alcune condotte dovute più all’immagine che non per palesare una certa situazione. Inoltre registro anche il fenomeno di ragazzi rapper che in questo momento stanno facendo molto discutere. Tantissimi li ho avuti in comunità e li ho tutt’ora. Questo tipo di canzoni e di cultura favorisce certi comportamenti. Senza dare troppa colpa a questi ragazzi, è il clima culturale quello che oggi preoccupa.