Durante la sua visita al Decanato Cagnola-Gallaratese-Quarto Oggiaro, martedì 7 febbraio l’Arcivescovo sarà alla comunità che ospita dieci minori stranieri giunti in Italia senza famiglie e li aiuta nel loro percorso nel nostro Paese
di Claudio
URBANO
Non accompagnati, ma non soli. Così crescono i dieci ragazzi, tra i 14 e i 18 anni, ospiti della comunità «L’Arbusto», che da poco più di un anno si è trasferita negli spazi dell’oratorio di Sant’Ilario, quartiere Gallaratese. «L’Arbusto» si è spostato solo di poche centinaia di metri, lasciando la Fondazione Casa del Giovane dove erano ospitati fino a 70 ragazzi. Ma il passaggio in un contesto più piccolo nasce da una volontà precisa. Quella di aiutare sempre meglio i ragazzi – arrivati in Italia dall’Egitto, dall’Albania o dal Bangladesh senza un familiare di riferimento – nel loro percorso di integrazione.
«Ci dedichiamo ai minori stranieri rispondendo a un’esigenza dei Servizi sociali del Comune di Milano», spiega Enrico Pauciello, coordinatore della comunità, che ora è sotto il più ampio ombrello della Cooperativa Intrecci. Il capoluogo catalizza gli arrivi, tanto che qualche mese fa Palazzo Marino ha fatto sapere che sono 1200 i minori non accompagnati in carico al Comune, il 10% di tutta Italia.
Un riferimento indispensabile
Pauciello spiega che chi arriva, in genere, ha un obiettivo preciso: trovare un lavoro e aiutare la propria famiglia nei Paesi d’origine. Ma «in fondo sono adolescenti», sottolinea l’educatore, e la comunità diventa per loro un riferimento indispensabile. L’équipe segue i ragazzi 24 ore su 24: dalle questioni legate ai documenti a eventuali problematiche sanitarie, fino al percorso di studi, a partire dall’italiano. Paradossalmente i più giovani sono anche i più avvantaggiati, almeno sul lato della formazione: il periodo in comunità termina infatti a 18 anni (anche se si può chiedere una proroga); per questo, per chi arriva a 17 anni si pianifica un percorso più breve, mentre con i più piccoli – evidenzia l’educatore – si può prevedere un iter più strutturato, dal conseguimento della licenza media fino alla scelta di una scuola professionale.
Il legame con le famiglie
Una scelta che viene fatta naturalmente insieme ai ragazzi, ma anche sentendo le famiglie d’origine, con cui il legame – sottolinea Pauciello – resta forte: «Naturalmente prima dobbiamo creare un rapporto di fiducia con i ragazzi, ma poi siamo noi stessi a fare “da tramite” con i loro genitori. È un passaggio che serve a tutti: da una parte spieghiamo loro che i ragazzi sono con noi, in una comunità, e che prima del lavoro c’è da fare un percorso: l’italiano, la licenza media… Altrimenti, per alcuni la responsabilità di dover aiutare economicamente la famiglia diventa un peso difficile da gestire». E c’è anche il lato educativo: «Sanno per esempio che, se non si comportano bene, noi possiamo metterci in contatto coi genitori».
La crescita è quindi accompagnata con un lavoro a tutto tondo, che va dallo sport ai momenti di svago, fino ai consigli degli educatori anche sul lato dell’affettività.
La visita dell’Arcivescovo
Pauciello è ottimista: «Qualcuno, certo, devia dal proprio percorso, ma negli anni ho visto i ragazzi lavorare, sposarsi, qualcuno aprire un’attività autonoma». L’inserimento in una comunità già affiatata come quella di un oratorio aiuta ad avere scambi più intensi. Che passano naturalmente dalla cucina: «Le signore della parrocchia ci hanno insegnato a fare il “pane dolce” a partire da quello raffermo, e i ragazzi hanno apprezzato moltissimo».
Nel corso della sua visita al Decanato Cagnola-Gallaratese-Quarto Oggiaro, l’Arcivescovo sarà all’Arbusto martedì 7 febbraio. Un momento che rappresenta l’attenzione della comunità. Perché, riflette l’educatore, «noi seguiamo in prima persona i ragazzi, ma, in prospettiva, è un lavoro che si fa per tutta la società».
Leggi anche:
La Visita pastorale a Cagnola-Gallaratese-Quarto Oggiaro