La salesiana suor Anna Condò tutti i giorni si reca alla Casa di reclusione di Bollate, assistendo i detenuti nelle loro necessità materiali, ma favorendo anche percorsi di preghiera e spiritualità
di Luisa
Bove
È un ritorno alle origini, quello che sta vivendo suor Anna Condò, salesiana della comunità milanese di via Bonvesin della Riva che conta 37 religiose, quasi tutte impegnate in ambito educativo nelle scuole di ogni ordine e grado. Mentre suor Alessandra Pezzi – oltre a insegnare -, si reca due volte alla settimana a San Vittore e una terza religiosa invece visita i carcerati a Pavia, suor Anna entra tutti i giorni nella casa di reclusione di Bollate per incontrare i detenuti.
Qual è la sua esperienza tra i reclusi?
Da tre anni frequento cinque degli otto reparti, sia maschili, sia femminili, insieme al cappellano don Fabio Fossati. Facciamo accompagnamento, ascolto, teniamo i contatti con gli avvocati e le famiglie dei detenuti, poi ci occupiamo anche di aspetti pratici. Quando hanno bisogno di qualcosa, siamo noi il ponte tra “dentro” e “fuori”. Insomma, cerchiamo di rendere più semplice la vita che in carcere è complicata e molto faticosa, perché ogni domanda richiede tempi di attesa infiniti, così cerchiamo di alleviare questa brutta sensazione.
E rispetto ai cammini di fede?
Teniamo incontri di catechesi e celebrazioni e nei “tempi forti” proponiamo gli esercizi spirituali ai detenuti: si tratta di tre-giorni che si svolgono all’interno, nel teatro, e a cui possono partecipare le persone interessate. Sabato scorso, per esempio, abbiamo avuto la preghiera ecumenica, con la partecipazione di una sessantina di reclusi dei vari reparti, autorizzati dalla direzione. A Bollate sono rappresentate un po’ tutte le religioni: cattolici, ortodossi, protestanti, evangelici, musulmani, buddhisti… Poi ci sono alcune persone che vengono in carcere per accompagnare il percorso spirituale dei detenuti appartenenti alle varie confessioni.
Quando presta servizio in carcere?
Io dedico molto tempo all’ascolto. Entro tutti i giorni della settimana, dal lunedì al venerdì, fino all’ora di pranzo; spesso vado anche il sabato pomeriggio per la catechesi e a volte partecipo alla Messa della domenica. Nel pomeriggio mi dedico a soddisfare le loro richieste: per esempio porto ad aggiustare orologi e occhiali, gesti molto banali, ma che per i detenuti sono importanti, perché molti non hanno nessuno fuori.
Come si concilia l’attenzione ai detenuti con la spiritualità salesiana, più orientata all’educazione?
Intanto a Bollate molti sono giovani tra i 20 e i 30 anni che hanno sbagliato percorso o smarrito la meta. Però l’esperienza iniziale di don Bosco è stata quella di accompagnare don Cafasso, il prete della forca a Torino, che andava a visitare i condannati a morte. Quindi don Bosco entrava in carcere, aveva addirittura ottenuto dal direttore delle Vallette di portar fuori un gruppo di detenuti, promettendo che li avrebbe fatti rientrare tutti. Per l’affetto che avevano nei suoi confronti la sera sono tornati. Un fatto impensabile per quell’epoca.
E poi?
Don Bosco provava dolore nel vedere i giovani con la vita ormai segnata. Così decise di “inventare” il metodo preventivo perché altri ragazzi non arrivassero a quel punto. Diceva infatti: «È molto più facile aiutare un giovane prima che arrivi a vivere certe esperienze, piuttosto che recuperarlo dopo». Stiamo quindi vivendo la prima stagione di don Bosco in carcere. Purtroppo a Bollate ci sono anche ex allievi salesiani, sia nei reparti maschili, sia in quelli femminili. Io ne ho già conosciuti almeno una decina che hanno frequentato le scuole salesiane.
A loro cosa dice?
È l’occasione per riallacciare il discorso: quando parlo di don Bosco si “illuminano”. Cerco almeno di riaccendere una fiammella che ardeva in loro negli anni in cui sono stati nelle case salesiane. Poi l’hanno spenta, persa. Però dico loro che don Bosco ha promesso che avrebbe protetto per sempre ogni ragazzo che entrava in una sua casa. Per questo, dialogando con loro, risveglio la consapevolezza che don Bosco li ama anche adesso che sono smarriti e stanno soffrendo per gli errori commessi. Poi cerco quel “giovane” che si nasconde anche in una persona adulta e vicina alla disperazione, ma che un tempo aveva sogni e speranze, perché l’amore di Dio non viene meno in nessuna delle condizioni in cui viviamo.