Questo lo spirito con cui i volontari Caritas hanno operato nel periodo estivo nelle zone terremotate, svolgendo lavori di manovalanza, ascoltando le persone, animando la vita sociale. Alcune testimonianze
di Claudio
URBANO
Il desiderio di vedere, incontrare, aiutare; la necessità di essere ascoltati. Questi bisogni hanno unito nelle settimane estive le popolazioni di Amatrice, Borbona e Cittareale colpite dal terremoto di un anno fa e i volontari delle Caritas lombarde alternatisi in quei luoghi. Decine di giovani (e non) si sono divisi con turni settimanali tra l’animazione dei centri estivi, i centri di ascolto, la visita nelle “Sae” (le nuove casette) e la più semplice manovalanza.
Una presenza, quella dei volontari, frutto del gemellaggio tra la diocesi di Rieti e quelle della Lombardia, che ha portato gli operatori di Caritas a essere presenti nelle zone terremotate fin da questo inverno, prima soprattutto con aiuti materiali, ora con la presenza e la vicinanza alle persone. Nella consapevolezza, spiegano gli operatori, che l’intervento di Caritas finirà, e che il lavoro, come sempre, è accompagnare la gente perché possa ripartire con le proprie forze.
È l’augurio che ha lasciato ai ragazzini di Amatrice Lietta Fontanesi, trentenne architetto di Milano, che per la sua vena artistica ha lavorato soprattutto al murales che resterà in quello che sarà lo spazio di aggregazione della “capitale” dell’Amatriciana. «Dovete essere forti, perché voi siete il futuro», ha detto ai ragazzi che si trovano abitualmente nel tendone della Caritas proprio di fianco al murales. Di fatto una sorta di oratorio, col tavolo di ping pong e scaffali pieni di materiale. «Non è facile», ha risposto qualcuno di loro, mentre Dennis, prima di raggiungere gli altri amici con la sua bicicletta, ha spiegato che, dopo il terremoto, tra coetanei sono tutti più coesi, ma che d’altra parte alcuni di loro non ci sono più. Forse ha in mente qualcuno portato via dal sisma, sicuramente anche molti amici che, potendolo, hanno deciso di lasciare Amatrice.
In questi mesi dovrà partire la vera ricostruzione. La volontà non manca. Tutti hanno bisogno di tornare, se non alla normalità, ai ritmi della vita di prima, anche perché sono ormai stremati dall’anno trascorso, spiega don Fabrizio Borrello, responsabile della Caritas di Rieti. Una distinta cinquantenne di Torino, originaria però di Sommati (frazione di Amatrice), guardando le macerie della sua casa e del centro cittadino – ha potuto recuperare solo un coccio di intonaco giallo e una bambolina, «come un angioletto» – ha sottolineato che la preoccupazione è soprattutto per il fratello, commerciante che non ha ancora potuto riaprire (i primi negozi, dal supermercato al parrucchiere a una pasticceria, hanno aperto proprio nelle settimane di agosto). «In questo contesto è stato importante avere una compagnia, condividere lo stesso scopo con gli altri volontari, e anche avere uno sguardo positivo su ciò che stavamo facendo, per poter ribaltare una situazione di per sé tragica», riflette Lietta.
Racconta dello stesso spirito Lorenzo Faré, studente universitario di Bareggio che ha animato il centro estivo di Borbona, e ricorda di quando, a fine giornata, ha riaccompagnato due bambini nella roulotte, la loro casa di fronte all’abitazione distrutta: «Vedere la distruzione è desolante, eravamo consapevoli di poter dare pochissimo rispetto a quanto c’era da fare. Ma tutti abbiamo cercato di dare il massimo nel tempo a nostra disposizione».
Rodrigo Ferrario, di Arcore, è tra i volontari che hanno incontrato le persone nelle nuove casette: «Al di là del terremoto fisico, che ha buttato giù le case, c’è n’è stato uno psicologico, più devastante: dopo un esodo forzato e il ritorno in case che non sono le loro, molti sono rassegnati e fanno fatica a ripartire. Non potevamo fare altro che ascoltare le loro storie», riassume. Don Fabrizio, che ha accompagnato i ragazzi, spiega che quella dei volontari è stata una presenza discreta, una vicinanza in ciò di cui c’era bisogno, dall’ascolto alla manovalanza, nella speranza che i legami rimangano anche in futuro.
«A chi ha perso tutto e riparte da zero», recita il murales a cui hanno lavorato i volontari. È l’abbraccio con cui hanno lasciato Amatrice, e «l’augurio – spiegano gli operatori – che ci accompagnerà nei prossimi mesi».