L’assistenza alle persone affette da Hiv, anche sul piano lavorativo e relazionale, è tra le attività condotte dalla Comunità. La Cooperativa gestisce anche servizi per le dipendenze, per i giovani e le famiglie

di Cristina CONTI

La parrocchia dove è accolta la comunità
La parrocchia dove è accolta la comunità

Un aiuto concreto per i malati di Aids. A partire dagli anni ’80 la Comunità Quinto Sole, nel decanato Vigentino, ospita i malati di HIV che hanno bisogno di sottoporsi a trattamenti sanitari. «L’ATS si occupa di gestire le accoglienze, queste persone, infatti, sono estremamente compromesse e spesso non sono in grado di esprimere scelte da sole. La nostra comunità ha un’intensità di trattamenti bassa e dunque c’è una marcata interazione con l’esterno, mentre altre comunità prevedono che la vita dei malati si svolga solo internamente alla struttura», spiega il presidente Riccardo Farina. Le persone che arrivano qui provengono prevalentemente dai reparti infettivi degli ospedali e la cura è assicurata dal medico della comunità, da operatori socio assistenziali, da ausiliari assistenziali e da infermieri. Ma non è l’unica dimensione su cui si lavora. «Abbiamo pensato per loro anche ad attività ad hoc in uscita. Come laboratori in cascina o piccoli lavori agricoli in una struttura sottratta alla malvita che si trova a Chiaravalle. Progetti che contribuiscono a migliorare la vita di queste persone anche sotto il profilo relazionale», aggiunge Farina.

L’ente gestore, la Cooperativa sociale Comunità del Giambellino, è nata nel 1975 come organizzazione informale attorno alla figura di don Renato Rebuzzini. «In quegli anni era molto forte il fenomeno della tossicodipendenza da strada e nei primi anni ’80 si sono verificati i primi casi di Aids. I malati morivano frequentemente perchè i farmaci erano ancora a uno stadio iniziale. E le cure erano limitate. La Caritas Ambrosiana, allora, diede lo spunto per iniziare un progetto di Comunità. E nello stesso periodo anche altri enti sono nati nello stesso periodo con questo scopo nel territorio della Diocesi, per un totale di sette/otto strutture», precisa Farina. Così tra l’80 e l’81 si è dato il via ai lavori di sistemazione e sono arrivati i primi ospiti.

L’attività con i malati di Aids, non è però l’unica che si svolge qui. «Come cooperativa gestiamo anche servizi per le dipendenze, per i giovani e le famiglie, per il territorio, servizi domiciliari per gli adulti, dentro e fuori gli ospedali e le carceri. Il nostro obiettivo è quello di espandere la gamma dei servizi e non il loro numero», commenta il presidente. I municipi interessati da queste attività sono il 6, il 7 e l’8. Particolare è il rapporto con il quartiere Quintosole. Proprio negli anni ’80, infatti, don Rebuzzini venne chiamato qui a fare il parroco. E le iniziative che vedono la partecipazione attiva degli abitanti continuano anche oggi. «Prima dell’arrivo della pandemia abbiamo organizzato molti momenti da vivere insieme, come l’accoglienza degli scout o la Quaresima di fraternità. Abbiamo lavorato con le Commissioni Decanali e ci siamo dedicati alla allo scambio di beni alimentari attraverso una collaborazione con i supermetrcati e il Banco Alimentare”, spiega. Molto forte è poi la presenza dei volontari che prestano il loro servizio all’interno della struttura e che collaborano alle diverse attività, con tutti i limiti imposti dalla pandemia. «Abbiamo tanti progetti e il comodato d’uso concesso dalla Diocesi per gestire la struttura ci aiuta a vivere meglio anche il rapporto con il territorio», conclude Farina

Ti potrebbero interessare anche: