Nel corso del pellegrinaggio la riflessione del cardinale Martini sulla “banalità del male” è risuonata in occasione del convegno di studi “Rapporti ebraico-cristiani all’ombra della Shoah”

di Annamaria BRACCINI

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Una giornata vissuta tra emozione, ricordo, ufficialità e cultura. Non vi era modo migliore per onorare il cardinale Carlo Martini che approfondirne la figura, oltre a condividerne la memoria, anche attraverso un incontro di alto profilo internazionale e scientifico. Così è stato con il convegno “Rapporti ebraico-cristiani all’ombra della Shoah”, svoltosi presso il College Valle d’Yezreel, che ha inteso delineare tra un passato tragico e un presente problematico per il rinascere, talvolta occulto, dell’antisemitismo, la possibilità di un futuro più consapevole e, si spera, migliore. E tutto «perché non possa mai ripetersi ciò che è stato», come ha sottolineato David Meghnagi, docente presso l’Università di Roma Tre, nella comunicazione “Immagini dell’ebreo e dell’ebraismo nella cultura europea dopo la Seconda guerra mondiale”.

Un tema, quello della “banalità del male”, più volte affrontato dal cardinale Martini nella sua vita di Pastore e di biblista, con l’obiettivo di sempre, a Milano come a Gerusalemme: la riconciliazione da perseguire «nel perdono, nella giustizia, nella pace», come ha detto il vicario patriarcale latino per Israele, Giacinto-Boulos Marcuzzo. Così torna alla mente quanto l’Arcivescovo disse nel 1994, al convegno “Educare dopo Auschwitz”: «Ebrei, cristiani, uomini e donne di buona volontà, la tragedia della Shoah ci sospinge a cooperare per costruire la città dell’uomo nella pace, la città di Dio nella pace, lo shalom».

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