Si è tenuto al centro Asteria di Milano il convegno sulla disabilità. Promossa dagli Uffici pastorali della Diocesi, l'iniziativa mette al centro la famiglia con le sue forze e fragilità
di Letizia
Gualdoni
Che non si tratta del classico convegno lo si intuisce sin dall’allestimento del palco del Centro Asteria a Milano, arredato simbolicamente sabato 6 maggio per “far sentire a casa”, come a un incontro informale ma assolutamente non banale: c’è spazio per un divanetto, una piccola libreria, un computer, un mazzo di fiori, dei giochi, ma anche un girello, un bastone, un corsetto e ci potrebbe essere tanto altro.
Il desiderio è che ognuno possa sentirsi accolto con la propria storia, per ascoltarsi e conoscersi per tutta la giornata di incontro del convegno diocesano rivolto a tutte le famiglie.
L’esperienza è nata l’anno scorso e maturata per rimettere al centro – con le parole di padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio Famiglia della Cei (presente insieme a suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio per la pastorale delle persone con disabilità) – «l’importanza di uno stile familiare che permea l’esperienza ecclesiale, ritrovandoci insieme e rimettendo in rete la bellezza e la fecondità di come la vita complicandosi ci rende più ricchi». «Famiglia di famiglie: un incontro che profuma di noi» è una giornata promossa dagli Uffici pastorali della Diocesi che parla di disabilità ma con uno sfondo più ampio, per affermare una società inclusiva, mettendo al centro la famiglia con le sue forze e fragilità. «C’è bisogno di abbattere muri di ignoranza e ritrosia nei confronti della difficoltà – fa eco Alessandro Chiarini, presidente di CO.N.FA.D. (Coordinamento nazionale famiglie con disabilità) – ricordandosi che laddove c’è una persona con disabilità c’è una famiglia che vive la disabilità come una condizione che riguarda tutta la famiglia».
«La scommessa – per don Mauro Santoro, presidente della Consulta diocesana ambrosiana Comunità cristiana e disabilità “O tutti o nessuno” – è quella di una giornata che faccia incontrare persone con esperienze diverse ma unite da un Noi fondato da relazioni di autentica fraternità, così che nessuno si senta dimenticato, gustando la bellezza di un ascolto reciproco autentico, vincendo sentimenti di tipo pietistico o di ammirazione che rischiano di creare solo distanza». Ciascuna famiglia ha un progetto di vita, fatto di desideri, punti di forza e debolezze: a volte accadono sorprese, a volte imprevisti, che chiedono di ripensare il proprio progetto, a volte parzialmente, a volte totalmente. Tutte possono sentirsi però accomunate dall’essere figli del Padre che è nei cieli, ed è così che il Servizio per la Famiglia introduce alla preghiera le tante famiglie, operatori pastorali, sacerdoti e consacrate presenti, affinché il Signore possa aiutare a trasformare le debolezze in sensibilità nei confronti delle sofferenze degli altri, sostenendoci nel vivere le nostre famiglie e la Chiesa, famiglia di famiglie, come scuole di amore e luoghi di incontro, condivisione, accoglienza e fiducia reciproca, costruendo relazioni inclusive, e facendo ritrovare alle famiglie, soprattutto a quelle più deluse o non accolte, il coraggio di costruire una comunità che profumi di Noi.
«Si va a Betania per un incontro che profuma di noi – afferma don Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’Educazione e Celebrazione della Fede, portando il saluto dell’Arcivescovo Mario Delpini – se abbiamo olfatto allenato percepiamo ancora oggi i cattivi odori del corpo di Lazzaro, quando cercarono di dissuadere Gesù, dopo già quattro giorni nel sepolcro. Le ombre di un mondo chiuso, direbbe papa Francesco, la decomposizione propiziata dal gigantismo dell’io che va sempre più di moda, l’enfasi diffusa di un’autorealizzazione, limiti e imperfezioni ritenuti una condanna, una vergogna. Il nome di Dio è profumo del noi, profumo che si spande».
Senza sforzarsi, di sua natura, «e offre piacere e gioia, dove girano ancora i cattivi odori dello sfinimento, di mestizia, di mille solitudini, anche nelle terre ambrosiane». E un invito del cuore, come il fiore donato al termine di ogni intervento, per ricordare il profumo che oggi si sente tra noi e vuole essere portato nelle nostre comunità: «Spandete questo profumo per tutta la Chiesa ambrosiana».
Viene data voce alla vita vera, con testimonianze di alcune famiglie, scelte tra coloro che si sono ritrovate a vivere diverse fatiche tra le tante che le famiglie possono affrontare: il lavoro, problemi economici, la presenza di un figlio disabile, accudire un anziano, il fallimento educativo, una malattia o un lutto… tenendo conto che altre situazioni non devono essere dimenticate.
Per primi prendono la parola Antonio e Luciana, tra loro siede al divanetto il figlio Giulio, con disabilità grave. Nelle parole emozionate dei genitori scorrono le gioie, le soddisfazioni, i bei ricordi, ma anche una vita caratterizzata da tante fatiche e difficoltà. «La fonte della nostra energia è la fede che ci accompagna, che è stata importante sin dall’inizio, ci siamo affidati» – spiega il padre, Antonio. Rivelano l’angoscia e la confusione di quando il loro secondo figlio ha iniziato a manifestare i primi segni di una diagnosi che rientra nello spettro dell’autismo, perdendo linguaggio e altre acquisizioni, in una sorta di regressione, e una condizione di disabilità che ha investito la loro famiglia senza che dal punto di vista fisico fosse evidente la sua disabilità. Dell’aiuto di amici e parenti ma anche la percezione di giudizio e un senso di solitudine, la difficoltà per l’iscrizione alla scuola Primaria, esperienze brutte e belle, rimanendo aperti agli incontri, riconoscenti dell’accoglienza «come segno di voler bene».
Angela e Paolo hanno poi condiviso il dramma della loro storia: di una notte di Natale del 2004 in cui la loro figlia Lucia rimase vittima di omicidio stradale, quando il veicolo di un automobilista sotto effetto di alcol la uccise sul colpo. «In una storia di questo tipo non ci si salva da soli, bisogna farsi aiutare», commentano. Il supporto fondamentale condiviso con altre famiglie che hanno subito lutti, tramite l’associazione A.M.A. Milano Monza Brianza, e la scelta di non chiudersi alla vita, coinvolgendo il figlio Lorenzo, facendo l’esperienza significativa, dopo quella di affido momentaneo, per donare amore con l’affido familiare e poi con un’adozione.
E ancora le difficoltà a educare i figli, raccontate da Myriam, mamma di due figli e psicoterapeuta, con Aurora che inizia a perdere motivazione e a non voler andare a scuola, presentando somatizzazioni importanti. Mesi complicati: «Il malessere che mia figlia viveva a scuola diventavano cassa di risonanza in famiglia, concentrando i nostri pensieri sull’interrogativo di cosa fosse veramente educativo per lei». A una rilettura di quello che è successo, i sentimenti di rabbia, frustrazione e impotenza si stanno trasformando in forza costruttiva, grazie anche alle persone e realtà che hanno supportato, con la loro vicinanza, in questa situazione inaspettata.
Storie che ci aiutano a ricordare che le cose non sono scontate e anche quelle semplici possono essere importanti. E Giovanni Miselli, psicologo e psicoterapeuta, aggiunge una riflessione su come sia necessario rendere partecipe e creare un’appartenenza individuando il bisogno e ciò che importante per quella specifica famiglia, attraverso strumenti che hanno a che fare con la flessibilità psicologica di sostegno.
«Siamo qua perché ognuno di noi sta scalando una montagna e se possiamo esserci utili è perché ognuno di noi, nella salita e dalle proprie montagne, possa fermarsi un momento e dire: a destra è scosceso, a sinistra fai due passi e puoi fermarti… Dalla nostra prospettiva possiamo essere di supporto agli altri e cercare uno spazio per permetterci magari di scegliere di scalare alcune cose insieme».
E se la fragilità fa parte del nostro essere e siamo vulnerabili, come si può parlare di ferite generative? «Nel manifesto più alto dell’amore di Dio, la croce – spiega don Michele Roselli, Ecclesiologo della Diocesi di Torino – possiamo sentirci amati. Al cuore della fede sta l’evento della Passione, il crocifisso risorto, il ferito vivo. C’è una storia di ferite che è la storia di ciascuno di noi. La forza e la fede nascono dal fatto che dentro quelle ferite riconosciamo un amore fino a dare la vita.
La Chiesa è inclusiva o non è Chiesa. Una comunità ospitale – domandare accoglienza con rispetto nella vita dell’altro – e riconoscente – dove riconosco unicità dell’altro e in cui divento grato – giunge a una sintonizzazione affettiva: “Io sento che tu senti che io sento”. Senti il mio pianto di fatica, te ne prendi cura, e tu senti la mia cura. E mettiamo insieme i doni che ciascuno è».
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