La celebrazione eucaristica nella Cappella delle Apparizioni ha concluso le giornate dei 350 fedeli ambrosiani a Fatima. Intervista all'Arcivescovo: «La potenza di Dio opera con la fragilità umana»
di Annamaria
BRACCINI
«Questo è il giorno nel quale il Signore ci chiama per nome consegnandoci un compito, una missione, un servizio da rendere per la pace e la conversione della storia». È questa la consegna che l’Arcivescovo lascia ai fedeli ambrosiani riuniti nella Cappella delle Apparizioni per la celebrazione eucaristica che conclude il pellegrinaggio diocesano di preghiera a Fatima.
Presiedendo la Messa votiva della Madonna di Fatima, concelebrata da una quindicina di sacerdoti ambrosiani, monsignor Delpini, in riferimento al Vangelo di Luca al capitolo 6 con la chiamata degli apostoli, si rivolge così direttamente ai pellegrini che affollano lo spazio della Cappella, sedendo, alcuni persino a terra, sotto un sole tiepido e cielo tersissimo: «Forse la folla che cerca di toccare il Signore ha un’ingenuità che, talvolta, è la semplicità dei bambini benedetta da Dio, talvolta, un’ingenuità che pensa che, toccando o andando in un certo posto, possa automaticamente realizzarsi ciò che ci aspettiamo, con una sorta di pensiero magico. Siamo anche noi tra i discepoli che stanno intorno a Gesù, formando un gruppo che dimostra anche quelle meschinità e tensioni interne che Paolo rimprovera nella lettera ai Corinzi. Però viene il giorno del nome, nel quale Gesù si rivolge, non alla folla che cerca il miracolo, non ai discepoli che costituiscono il gruppo dei privilegiati intorno a lui, ma a ciascuno di noi, interpretando la nostra storia, la nostra domanda, offrendo un’indicazione per la strada da percorrere». Un giorno che, suggerisce l’Arcivescovo, può essere oggi, quando «si esce dalla folla anonima, rispondendo alla chiamata».
Stile, incarico, servizio
Senza dubbio non potrebbe esservi luogo migliore che «un Santuario come questo, ricco di preghiera e così significativo», per celebrare il nome ricevuto con il battesimo, ma anche «quello di uno stile da assumere, di un incarico da svolgere, di un servizio da rendere».
Qui, dove Maria è apparsa a tre bambini, «mettendo in evidenza che ciascuno di loro aveva un nome diverso, un tratto caratteristico, essendo chiamato a un modo particolare di irradiare nella comunità e nella Chiesa la luce ricevuta», proprio qui «è importante – conclude l’Arcivescovo – che ci sentiamo guardati da Gesù che chiede, a uno a uno, di fare quella particolare preghiera e penitenza, di raccontare questa esperienza».
A noi il dovere di rispondere con la semplicità dei piccoli, nella consapevolezza che «Maria ha affidato a tre bambini il compito improbabile di essere messaggeri di una svolta nella storia dell’umanità, della pace invece che della guerra, della conversione invece dell’inerzia». Per questo il «tempo di sentirci interpellati per una missione improbabile, per quell’umile consegnarci, senza riserve, al nome con cui il Signore ci chiama».
Poi, a conclusione della celebrazione, la tradizionale benedizione degli oggetti di devozione, la preghiera di affidamento a Maria e il canto tradizionale della Madonna di Fatima, aprono la via verso casa, dove ognuno porterà con sé, in ogni parte della terra ambrosiana, il vero significato del pellegrinaggio compiuto: «Il desiderio di vedere anche noi la luce che i pastorelli hanno visto e un messaggio di bene per tutti da vivere con volti luminosi e sorridenti».
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