Nella Basilica di Sant’Ambrogio l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione con il Rito di consacrazione di tre donne: «Sappiate che questa Chiesa vi è grata»
di Annamaria
Braccini
«Questo è un momento di gioia, di commozione e di profezia e vi siamo grati». Dice così l’Arcivescovo nella Basilica di Sant’Ambrogio, aprendo la celebrazione con il Rito di consacrazione di tre donne che entrano a far parte dell’Ordo Virginum diocesano. Messa concelebrata da una ventina di sacerdoti, tra cui il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, i Vicari episcopali, don Mario Antonelli e monsignor Luca Bressan, e i parroci delle comunità di provenienza delle candidate: Anna Boccardi (San Vittore al Corpo a Milano), Pamela Evola (San Giorgio Martire a Limito di Pioltello) e Rita Ricucci (Comunità pastorale Discepoli di Emmaus a Rozzano). La prima, laureata in Fisica, si occupa di pianificazione energetico-ambientale ed è impegnata, con incarichi di responsabilità, negli Scout Agesci; la seconda è avvocato e collabora con la Fondazione San Bernardino Onlus; la terza, laureata all’Istituto di Scienze religiose di Milano, insegna religione in un liceo e opera in ambito culturale anche come critica cinematografica.
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Nel saluto di benvenuto don Davide Milanesi, delegato arcivescovile per l’Ordo – all’ultima volta in questo ruolo, avendo assunto con il nuovo anno pastorale la responsabilità di tre nuove realtà parrocchiali -, parla anch’egli di gioia grande. Poi la chiamata per nome, l’«Eccomi» delle consacrande e l’accensione della lampada (a indicare l’attesa vigliante delle Vergini sagge) precedono l’omelia (leggi qui il testo integrale). Un monito a vivere il tempo che ci è offerto, da cristiani, nella sua giusta dimensione.
I cristiani e il tempo
«Si può vivere il tempo come la banalità del presente. L’indefinito futuro autorizza a perdere tempo, a dimorare nell’inerzia delle cose sempre uguali e delle cose sempre diverse: tanto tutto è niente, tutto è banale. Rapporti che si creano e che si spezzano; domande che sorgono e che si accantonano; ferite che sanguinano, ma con cui si impara a convivere. Si può vivere il tempo come insopportabile. Il tempo che pesa, il tempo che stanca, il tempo che tormenta, la situazione senza via d’uscita, la solitudine desolata nel tempo che non passa mai. Il gemito del mondo è un soffrire insensato, perché non trova una consolazione, ma deve accontentarsi di una rassegnazione. Si può vivere il tempo come l’impazienza della frenesia di chi non può stare fermo perché ansioso per le scadenze, inquieto per il sospetto di mancare all’occasione importante. Il presente non conta niente, conta il domani; quelli con cui vivo non sono nessuno, contano le persone che aspetto; la responsabilità per cose e attività presenti non merita attenzione, conta solo quello che sarà».
«Non disprezzare il presente»
Tre possibilità – peraltro molto frequentate e, persino, esaltate oggi – che non dicono della verità dell’essere, non solo cristiani, ma persone autentiche. Come le appartenenti all’Ordo Virginum, che «vivono e incoraggiano a vivere il tempo secondo lo Spirito di Dio, come dimensione irrinunciabile dell’esperienza spirituale». Proprio perché il tempo è il presente: «Qui incontro Cristo, colui che deve venire», come suggerisce il Vangelo di Giovanni al capitolo 4, con il dialogo tra il Signore e la Samaritana. «Non esiste il tempo banale per chi vive nella fede. Lo Sposo atteso, il Signore del cielo e della terra, l’amico che dà pienezza alla gioia è qui, è presente, mi parla, mi aiuta a rileggere la mia storia. Non c’è mai un tempo banale per chi vive la comunione con Gesù in chiesa e fuori, nei giorni di lavoro e di riposo, nei giorni di sole e di pioggia, nei giorni lieti e nei tempi bui. Le consacrate nella loro appartenenza consapevole, totale, viva al Signore aiutano tutta la comunità a non disprezzare il presente».
Appunto perché «il tempo non è l’angustia di una prigione senza via d’uscite, ma il rischio dell’affidarsi alla promessa: la creazione geme e soffre, ma non si tratta dell’insopportabile giogo di una cattiveria irrimediabile. Si tratta invece di un predisporsi alla pienezza del dono. Le donne consacrate sono testimoni di quel desiderio di compimento che si chiama speranza: nella speranza infatti siamo stati salvati. Sono donne di preghiera: il loro gemito non è la desolazione della rassegnazione, ma il sospiro dell’invocazione e così pregano, insegnano a pregare, sono testimoni di preghiera perché sono testimoni di speranza».
Per questo il «tempo non è l’impazienza della evasione e i cristiani si trovano a proprio agio nella storia, vivendola come il luogo della missione, il contesto propizio a portare a compimento la vocazione e a mettere a frutto i loro talenti. A proprio agio nella storia sono all’opera per rendere più abitale la terra e più desiderabile vivere, il presente e il futuro».
L’impronta del Signore
Il pensiero dell’Arcivescovo va direttamente alle donne che ha di fronte e alle tante loro sorelle dell’Ordo, riunite in Sant’Ambrogio per l’occasione, una gran parte delle 120 presenti in Diocesi, su un totale nazionale,di circa 700 consacrate, ricevute in agosto nella Basilica di San Pietro da papa Francesco.
«Le consacrate che offrono al Signore tutta la loro vita, assumendo la concretezza della famiglia d’origine, le sfide della professione, la presenza nella comunità di cui fanno parte, le responsabilità per il bene comune a cui possono essere chiamate, assumendo tutto rivelano che tutto ciò che è umano porta l’impronta del Signore. Si fanno carico del compito di abitare il mondo con simpatia e senso di responsabilità e vivono il tempo come la possibilità quotidiana di dare gloria a Dio, in qualsiasi luogo e in qualsiasi situazione. Siate benedette per questo messaggio che ci portate, siate liete per questo amore con Gesù che oggi diventa consacrazione e sappiate che questa Chiesa vi è grata».
Poi la prosecuzione dell’intensa liturgia della consacrazione: il «Sì, lo voglio», le Litanie dei Santi, il rinnovo del proposito di castità, la preghiera di consacrazione e i riti esplicativi attraverso i segni della consegna dell’anello, – che esprime l’unione sponsale è la fedeltà a Cristo – e del Libro della liturgia delle Ore, la preghiera della Chiesa, ricevuto dalle ormai consacrate come dono e impegno.
Infine l’annuncio, da parte dell’Arcivescovo, della nomina del nuovo delegato nella persona di don Dario Balocco, vicario per la basilica di Sant’Eustorgio della Comunità pastorale dei Santi Magi in centro a Milano.