La Celebrazione della Veglia Pasquale è stata presieduta in Duomo dall'Arcivescovo che, durante il Rito, ha conferito i Sacramenti dell'Iniziazione Cristiana a 2 Catecumeni

di Annamaria Braccini

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«In questo tempo desolato per troppi morti, per troppo soffrire, professiamo, non senza strazio, la nostra speranza e innalziamo il nostro cantico tragico e grandioso con lacrime e insieme con esultanza».

Quell’Alleluia «che è l’annuncio della morte che è stata vinta, di un nuovo inizio e del primo giorno di un tempo nuovo», come dice, pronunciando più volte il “suo” Alleluia, l’Arcivescovo che, in Duomo, presiede la Veglia nella Pasqua di Risurrezione del Signore, madre di tutte le Sante veglie, come la definì sant’Agostino. Veglia che, quest’anno (nel 2020 si era svolta a porte chiuse, senza fedeli) si apre in un orario inconsueto per le norme antipandemia, ma con i gesti antichissimi di sempre, come l’accensione del Cero pasquale – simbolo del Risorto, in un’artistica decorazione delle Claustrali benedettine dell’isola di San Giulio – al lume benedetto.

Concelebrano i Canonici del Capitolo metropolitano, il vicario episcopale della Zona pastorale I-Milano, monsignor Carlo Azzimonti, il responsabile del Servizio per la Catechesi e il Catecumenato, don Antonio Costabile, proprio perché, come tradizione, nella Veglia, 2 degli 84 Catecumeni ambrosiani 2021, ricevono, nella stessa liturgia, il Battesimo, la Cresima e la Comunione.

Lo splendido Preconio pasquale, solenne e peculiare ambrosiano, risalente alla fine del V secolo-inizio del VI, è cantato in latino dal diacono, quale sintesi poetica dell’intera storia della salvezza.

In Cattedrale, guidati dalla straordinaria ricchezza della Parola di Dio, attraverso nove Letture – 6 dai Libri sacri di Israele, la settima dagli Atti degli Apostoli, cui seguono l’Epistola ai Romani e il Vangelo di Matteo – si contempla il miracolo della perenne novità del Signore, prefigurata nel primo Testamento.

Finalmente, il triplice annuncio della Risurrezione, “Christus Dominus resurrexit” anch’esso peculiare del Rito ambrosiano e in tutto simile al “Cristos Anesti” della liturgia bizantina nella Pasqua ortodossa, viene proclamato, con voce crescente, dall’Arcivescovo ai tre lati dell’altare maggiore del Duomo. Le campane, in silenzio dalla Celebrazione della Passione del Signore del Venerdì santo, si sciolgono e torna l’atteso canto dell’Alleluia, assente dalla prima Domenica di Quaresima.

L’omelia dell’Arcivescovo

L’Alleluia, appunto, che canta la speranza e la gioia, per «la parola inaudita: “Cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto!”».

«Non solo – scandisce l’Arcivescovo – una parola buona che può rendere buoni coloro che l’ascoltano, non solo un’opera buona che può beneficare coloro ai quali è destinata, non solo una pratica religiosa che può edificare coloro che vi aderiscono, non solo l’invito a far parte di una comunità che rassicura chi vi partecipa. La salvezza è per tutti. Uomini e donne di ogni popolo e nazione e religione, di ogni ceto sociale, di ogni comportamento morale, santi e peccatori, tutti muoiono».

Con questa consapevolezza nasce, dall’’uomo nuovo Gesù, una umanità rinnovata e inizia una storia nuova.

«Non cambiamo il sole e la terra, non diventano facili le cose difficili, non sono scacciate per sempre la fame, la guerra, l’ingiustizia dalla faccia della terra. Non sono state per sempre debellate le malattie e le epidemie. Eppure questo è l’inizio della nuova creazione perché un popolo nuovo percorre la terra».

Come la storia nuova non è la favola del “tutto andrà bene”, così il «popolo nuovo non è una nuova etnia, non parla una lingua nuova, non abita in un giardino di delizie. Il popolo è nuovo perché nel cuore abita lo Spirito di santità».

E, forse, non è una caso che l’annuncio «dell’alba del primo giorno», risuoni «con parole di donne, Maria di Magdala e l’altra Maria. Donne di Pasqua, donne per parole apostoliche, donne per scuotere i discepoli dalla rassegnazione miscredente, dal ripiegamento e dallo spavento. Donne per sperare ed per edificare la Chiesa», sottolinea il vescovo Mario.

Donne capaci di indicare «la gioia, nella terra desolata, tribolata e ferita, non per ingenua evasione ma per la promessa dell’invincibile speranza: la morte è stata vinta».

Una gioia che si fa missione e vocazione: «Se è stata vinta la morte, quando vi deciderete a vincere la disperazione, la divisione, le diseguaglianze, come se ci fossero buone ragioni per essere nemici, mentre ci sono solo buone ragioni per essere fratelli e sorelle, fratelli tutti, tutti mortali, tutti chiamati a risorgere a vita nuova?». Insieme, dunque, come popolo nuovo nel quale «viviamo perché chiamati. Così i Catecumeni, chiamati a entrare nella comunità dei discepoli, così i giovani chiamati a entrare nella vita, così a ogni età e in ogni condizione, chiamati a nuovi percorsi per servire».

Infine, la consegna: «La vita è vocazione e nessuno viva per se stesso e nessuno viva per niente».

Poi, la liturgia battesimale, con l’Arcivescovo accompagnato dai 2 Catecumeni, la giovane cubana Yesse e Marco, un avvocato italiano, si reca presso il battistero dell’epoca di San Carlo all’ingresso del Duomo, dove conferisce i Sacramenti dell’Iniziazione cristiana. Il battesimo – ai neo battezzati vengono consegnati la veste bianca e una candela accesa al Cero pasquale, come segni della nuova vita in Cristo – la confermazione e, successivamente, nella liturgia Eucaristica, la Comunione. Tornando all’altare maggiore, il vescovo Mario asperge con l’acqua appena benedetta al fonte, i fedeli che, con i Catecumeni, hanno appena rinnovato anch’essi le promesse battesimali.

A conclusione il ringraziamento è per i 2 nuovi cristiani appartenenti alla Diocesi e per l’intera assemblea, con l’augurio di vivere la Pasqua «come una novità in questo tempo complicato che stiamo vivendo».

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