Piccola guida al procedimento canonico con la quale la Chiesa cattolica, attraverso diverse fasi, giunge alla beatificazione di una persona
La beatificazione è l’atto mediante il quale la Chiesa cattolica riconosce le virtù terrene di un defunto, la piena unione con Dio della sua anima in Paradiso e la conseguente capacità di intercedere a favore di fedeli che lo pregano.
Salvo disposizione papale, per far sì che un Venerabile venga dichiarato Beato è necessario che siano passati almeno cinque anni dalla morte e che si sia verificato un miracolo ascrivibile all’intercessione del candidato stesso.
Le vie per diventare Beato
Fino a qualche anno fa, le vie prestabilite per diventare Beati erano tre: quella del martirio, quella delle virtù eroiche e quella della “beatificazione equipollente” (ovvero mediante l’approvazione del Papa tramite decreto, senza attendere quindi il verificarsi di un miracolo).
Tuttavia, dal 2017 esiste anche una “quarta via” per diventare Beato: quella dell’offerta della vita.
Infatti, nella Lettera apostolica in forma di «Motu Proprio» intitolata Maiorem hac dilectionem (leggi qui il testo integrale), pubblicata sull’Osservatore Romano, il segretario della Congregazione delle cause dei santi, l’arcivescovo Marcello Bartolucci, spiega che con questa decisione il Pontefice stabilisce una “quarta via” percorribile per procedere alla beatificazione di un Servo di Dio, ovvero quella dell’offerta della vita, distinta dalle fattispecie sul martirio e sull’eroicità delle virtù.
L’arcivescovo Bartolucci chiarisce che «pur avendo alcuni elementi che la fanno assomigliare sia alla via del martirio che a quella delle virtù eroiche, è una via nuova che intende valorizzare una eroica testimonianza cristiana, finora senza una procedura specifica, proprio perché non rientra del tutto nella fattispecie del martirio e neppure in quella delle virtù eroiche».
In concreto, l’offerta della vita, affinché sia valida ed efficace per la beatificazione di un Servo di Dio, come riporta l’art.2 della Lettera apostolica, deve rispondere ai seguenti criteri:
- offerta libera e volontaria della vita ed eroica accettazione propter caritatem di una morte certa e a breve termine;
- nesso tra l’offerta della vita e la morte prematura;
- esercizio, almeno in grado ordinario, delle virtù cristiane prima dell’offerta della vita e, poi, fino alla morte;
- esistenza della fama di santità e di segni, almeno dopo la morte;
- necessità del miracolo per la beatificazione, avvenuto dopo la morte del Servo di Dio e per sua intercessione.
I passi per diventare Beato
Abbiamo chiesto a monsignor Ennio Apeciti, Responsabile del Servizio diocesano per le Cause dei santi, quali sono i passi per diventare beato e come si susseguono le due fasi, quella diocesana prima e quella romana dopo.
«Diventare Beato era, in fondo, il riconoscimento dell’importanza che aveva la fama di santità presso il Popolo di Dio. Essa, infatti, ancora oggi è il primo passo necessario per iniziare un’Inchiesta – come si dice oggi – per la beatificazione e canonizzazione», precisa monsignor Apeciti.
La richiesta di riconoscimento di un Beato
È il Popolo di Dio (o un suo gruppo consistente) che chiede al Vescovo di riconoscere beata quella persona, cui essi sono devoti e senza questa fama non si può, né si deve cominciare. Il Vescovo accoglie questo desiderio di quel Gruppo di Amici o di devoti, che agiscono a nome di tutta la Chiesa e che si fanno rappresentare da un Postulatore, da un loro rappresentante.
Il primo passo che il Vescovo compie è di chiedere il parere dei Vescovi della sua Regione Ecclesiastica e, contemporaneamente, di chiedere alla Santa Sede se Essa ritenga opportuna e conveniente questa Inchiesta.
Ottenuti i due consensi, il Vescovo, che difficilmente può seguire con attenzione un Processo di beatificazione, normalmente incarica un sacerdote come suo Delegato, perché agisca a suo nome e con la sua autorità e gli pone accanto un altro sacerdote, perché gli sia consigliere e verifichi che il Delegato agisce secondo la massima giustizia e la ricerca della verità.
La nomina delle Commissioni di storici e teologi
Vengono così nominate due Commissioni: la prima di Storici¸ che devono raccogliere tutti i documenti sulla vita del Candidato (lettere o scritti di lui, a lui, su di lui), in modo che si possa ricostruire la sua vita e il suo pensiero, per quanto possibile; la seconda formata da alcuni Teologi, che devono leggere tutti gli scritti del Servo di Dio (come viene chiamato in questa fase) ed esprimere un giudizio sulla validità del suo pensiero e sulla sua ricchezza spirituale, tale che possa essere di beneficio a tuti i fedeli.
Con questi pareri il Delegato del Vescovo interroga un congruo numero di persone (almeno cinquanta), che abbiano (possibilmente) conosciuto il Servo di Dio, così da sentire il loro giudizio dal vivo e se possono confermare che egli o ella ha vissuto santamente e se vi sia devozione, gente che lo preghi e confidi nella sua intercessione presso Dio.
La Congregazione delle Cause dei Santi
Tutto questo materiale (documenti storici, pareri teologici, testimonianze), se è ritenuto sufficiente dal Delegato, viene inviato a Roma presso la Congregazione delle Cause dei Santi, che procede a una verifica oculata, superata la quale si procede a riassumere tutto in una Positio, una sintesi che deve essere convincente. Infatti, questa Positio viene sottoposta al giudizio di una prima Commissione o Consulta di Storici; se essi la approvano, passa a una seconda Commissione o Consulta di Teologi, e con il loro voto positivo, viene sottoposta a un terzo giudizio dei Vescovi e dei Cardinali, membri della Congregazione delle Cause dei Santi.
Da Servo di Dio a Venerabile
Infine, con il loro parere positivo, la Causa è presentata al Papa, per il suo ultimo e definitivo e vero giudizio: è solo Lui, il Papa, che decide, alla luce di tutti questi pareri o voti precedenti. A quel punto, il Servo di Dio diventa Venerabile.
Tutto questo – si sarà capito – dipende molto anche dall’impegno degli uomini, di tutti quelli che sono incaricati nelle diverse fasi, quella diocesana prima e quella romana dopo.
Potrebbe essere ancora o solo lavoro di uomini e per questo la Chiesa da sempre chiede un segno di Dio, appunto il miracolo, qualcosa ottenuto per intercessione presso Dio di quel o quella Servo o Serva di Dio.
L’esame del miracolo
La procedura per l’esame del miracolo è simile a quella precedente, salvo che si interrogano i medici e si verifica con severità se il fatto sia veramente eccezionale e per questo motivo, al posto della Consulta storica viene convocata una Commissione o Consulta medica, di medici di fama esperti nel campo, sempre (ovviamente) se si tratta di una guarigione, altrimenti dipende dal tipo di “miracolo” avvenuto.
Di nuovo si consultano Teologi, Vescovi e Cardinali e con i loro successivi voti positivi, il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi si reca dal Santo Padre, che, nel suo definitivo discernimento, stabilisce che si debba e si possa chiamare “beato” o “beata” la determinata persona.
Quando questa compirà un altro miracolo, verificato come il precedente, sarà infine «chiamata con il nome di Santo».
La differenza fra Santi e Beati
Monsignor Apeciti ci ricorda inoltre la differenza sostanziale fra Santi e Beati.
Santo è colui che viene presentato a tutti i fedeli come modello, come esempio di credente che è riuscito nella sua vita a vivere secondo il Vangelo, testimoniando nei fatti e nelle parole il suo amore per le proposte di Gesù, il suo desiderio di riuscire a mettere in pratica la sua esortazione: «Imparate da me» (Mt 11, 29). Non a caso, per essere precisi, dovremmo dire non tanto che quel fratello o quella sorella è “proclamato santo/a”, ma che viene “canonizzato”, diventa cioè un “modello”, appunto un “canone”, valido per tutti quelli che desiderano vivere in verità la loro fede nel Signore Gesù.
Beato è quello del quale è certo che egli/ella è già presso Dio, già Lo contempla e ne gode la felicità che Egli ha promesso a ogni Suo figlio e figlia, che ha creato con il Suo infinito Amore. È la tradizione di ormai cinquecento anni che ha introdotto la categoria di “Beato”, proprio perché quando si cominciarono i Processi di canonizzazione, essi erano così severi, che ci volevano almeno settanta anni (e più) per finirli. Allora, quando si era certi che uno o una era certamente “santo”, ma il Processo non era ancora finito, si cominciò a concedere di venerarlo, chiamandolo, appunto, “beato” o “beata”.