È l'esortazione contenuta nella Proposta pastorale che la sociologa esperta di tematiche familiari raccoglie e sottolinea: «Occorre innescare processi culturali virtuosi per riportare al cuore della discussione pubblica parole chiare sul tema del perché e del come generare nuova vita»

di Annamaria BRACCINI

Federica Colzani
Federica Colzani

La Chiesa libera di essere “scomoda”, di portare annunci antipatici in questo tempo che spesso non accetta deroghe al pensiero dominante e all’individualismo imperante. Verità come quella che l’Arcivescovo definisce, nella sua Proposta pastorale, il «Vangelo della famiglia». «Ho apprezzato molto le parole dell’Arcivescovo, perché sono frutto di una profonda conoscenza della situazione sociale e, nello stesso tempo, rilanciano, per i cristiani, la testimonianza della bellezza della famiglia: un percorso del bello da cui si può accedere a quello del buono», sottolinea Federica Colzani, sociologa e presidente di Ascolom (Associazione della Cooperazione Lombarda), impegnata nei temi della solidarietà familiare e della promozione sociale e che, in tale veste, ha in questi giorni parlato al Senato della Repubblica, nel convegno “Ripartire dalla famiglia”, organizzato in preparazione all’Incontro Mondiale delle Famiglie di giugno 2022 a Roma.

Cosa significa, oggi, annunciare la verità della famiglia?
Stiamo vivendo, da un punto di vista sociologico, un momento di cosiddetto surriscaldamento della famiglia – a me piace chiamarlo family warming – che ci potrebbe portare, prendendo spunto dal rapporto Cisf del 2020, a una sorta di sua “evaporazione”, proprio per i giochi relazionali favoriti dalle tecnologie: per esempio potremmo arrivare ad avere un papà che è anche il nonno di suo figlio, per le inseminazioni in provetta. All’interno di questa situazione, l’Arcivescovo ci richiama a trovare la verità delle relazioni e a fare della famiglia un bene relazionale, vale a dire un bene in cui la coppia, oltre la generatività, si scambia affetti essenziali quali la fiducia, la comprensione, la benevolenza, la reciprocità. Per fare questo siamo spronati a uscire da noi stessi e, appunto, ad andare oltre le logiche dell’individualismo, imparando, senza paure e timidezze, a testimoniare la bellezza della relazione di coppia.

L’Arcivescovo evidenzia come siano tre le questioni-cardine: la rilevanza ecclesiale del rapporto tra uomo e donna, la differenza di genere come elemento costitutivo della famiglia e l’apertura alla generazione. Qual è l’aspetto più urgente sul quale occorre insistere maggiormente?
Ritengo che vada trovata un’armonizzazione della coppia, soprattutto per quanto attiene alle donne – so di essere in controtendenza, come d’altra parte, il nostro Arcivescovo – e al loro desiderio di essere madri. Non si tratta solo di dare i pur doverosi incentivi e/o di politiche sociali, ma è un problema culturale che solo tutti insieme possiamo affrontare. È un lavoro ingente perché ci troviamo in uno snodo della storia umana unico per l’accelerazione dei cambiamenti epocali nel rapporto uomo-donna, sia dal punto di vista culturale, sia da quello delle trasformazioni biologiche rese possibili dalle tecnoscienze. Penso che tocchi a noi cristiani innescare processi culturali virtuosi – insieme a tanti altri uomini e donne di buona volontà – per riportare al cuore della discussione pubblica parole chiare sul tema del perché e del come generare nuova vita.

A fronte di un dato incontrovertibile – le famiglie sono sempre più ristrette: più del 60% dei nuclei familiari è composto da uno o due membri – il rapporto intergenerazionale appare sempre più complesso: basti pensare al suo intreccio anche con la trasmissione della fede. È in queste dinamiche che si gioca la partita fondamentale?
Assolutamente sì. Parlare di intergenerazionalità è un modo di guardare al tempo di un popolo, di una famiglia, di ciascuno di noi, restituendo significato al passato, all’oggi, al futuro. Abbiamo bisogno di radici, di narrazioni che ci colleghino a chi ci ha preceduto e che ci aiutino, attraverso la scoperta di tanta ricchezza generazionale e generativa, a donare ciò che abbiamo ricevuto. Questo mi sembra il desiderio che esprime l’Arcivescovo nella sua riflessione. Per essere concreti in questo contesto occorrono anche misure e politiche che sostengano realmente la famiglia, come i  caregivers familiari, in modo che quando la famiglia è in condizioni di fragilità  – magari per la presenza al suo interno di persone anziane o di figli molto piccoli – esistano figure previste per un supporto non solo emergenziale. Per questo Ascolom promuove da anni la formazione di assistenti familiari con spirito cristiano e competenza professionale.

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