L’Arcivescovo scomparso 25 anni nel ricordo dell’alunno e amico personale Inos Biffi («applicò il Concilio con intelligenza e fedeltà») e del segretario personale Francantonio Bernasconi («per me è stato un maestro»)
di Annamaria
BRACCINI
Un uomo di Dio dalla «poliedrica ricchezza spirituale: una delle più alte figure della Chiesa milanese del secolo scorso, come docente, educatore e pastore». Monsignor Inos Biffi, studioso e docente di teologia, canonico del Capitolo metropolitano, antico alunno e amico personale del cardinale Giovanni Colombo, scomparso 25 anni fa (20 maggio 1992), definisce così il profilo di questo amato Pastore che fu sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo dal 1963 al 1979: successore dell’arcivescovo Montini (di cui era Vicario generale) divenuto papa Paolo VI, dovette rinunciare a guidare la Chiesa ambrosiana per raggiunti limiti di età e gravi motivi di salute.
Biffi: «Aveva il dono e il culto della parola»
Una vita ricca di incarichi prestigiosi, quella di Colombo, come ricorda ancora monsignor Biffi: «Fu docente mirabile di letteratura italiana nei Seminari e all’Università Cattolica, dove godeva di una grandissima stima da parte di padre Gemelli. Nell’Ateneo trovò anche il suo maestro, il poeta Giulio Salvatori, che lasciò in lui una traccia incancellabile. Colombo aveva il dono e il culto della parola, come forma limpida e luminosa, con cui esprimeva la realtà facendone emergere l’interiore bellezza».
Dunque, un Cardinale letterato e teologo
Sì. Vorrei ricordare che, per la geniale interpretazione delle figure letterarie nelle quali ricercava la chiara presenza, la tragica assenza o il segreto desiderio di Gesù Cristo, si è parlato di un suo «cristocentrismo estetico». Fu suo fu anche un «cristocentrismo spirituale» di cui fu pioniere.
Come avvenne la destinazione alla Cattedra di Ambrogio?
La decisione di destinarlo a Milano si realizzò per espressa volontà di Paolo VI, che lo stimava molto. Questa scelta turbò moltissimo Colombo ed egli fece di tutto per declinarla. Dirà il 14 agosto 1963, quando fu resa pubblica la nomina: «A tanto non si era mai levato neppure il più svagato dei miei pensieri». Conversando con i seminaristi aggiungeva che, ogni mattina, si ritrovava davanti sul tavolo il biglietto di nomina. Un po’ come Sant’Ambrogio che, pur avendo cercato durante la notte di fuggire da Milano, dopo un lungo vagare nuovamente il mattino si ritrovava in città.
Non furono anni facili quelli dell’Episcopato colombiano…
Certamente. Tuttavia, come ebbe a scrivere monsignor Guzzetti, il Cardinale «si tenne fermo come una colonna, anche nei giorni turbinosi del 1968, alla difesa dei valori che più gli stavano a cuore: la fedeltà alla dottrina ricevuta, la vitalità del Seminario, la vivezza dell’Azione Cattolica, la solidità delle parrocchie, l’impegno della Parola». Non a caso, infatti, vi è tutto un suo ampio e luminoso magistero conciliare, per cui si può affermare che egli applicò il Concilio con intelligenza e fedeltà, con provvide scelte operative, senza condividere fervori superficiali e discutibili esegesi.
Un giudizio d’insieme è oggi possibile?
Penso che la figura di Giovanni Colombo debba ancora essere studiata a lungo e con rigore, di là di emotività e pregiudizi. In ogni caso, sono fuori di dubbio l’eccezionalità della sua statura mentale e spirituale. Credo che lo si possa annoverare tra i grandi Arcivescovi della nostra Diocesi, alla cui sede giungeva quasi sessantunenne, ricco di esperienza spirituale e di profonda conoscenza della Chiesa. Alcune sue virtù rimangono fondamentali: l’austerità di vita, la dedizione tenace ai doveri, il distacco nei confronti del potere politico e una grande pietà.
Bernasconi: «Umanità e sensibilità spirituale»
«In questi giorni mi tornano alla mente tanti ricordi e aneddoti del periodo che ho trascorso accanto al cardinale Colombo». Monsignor Francantonio Bernasconi, segretario dell’allora Arcivescovo emerito dal 1980 alla morte, ha sempre tenuto viva la memoria dell’amato Pastore, anche come autore dei noti “Quaderni Colombiani”, arrivati al n. 91. «Per me è stato un maestro – spiega -. Penso che la sua figura andrebbe riscoperta, tanta era l’umanità e la sensibilità spirituale che portava in sé, unite a una volontà robusta e a una mente chiaroveggente».
C’è un episodio che le è caro?
Per associazione di idee con il XXV della scomparsa, mi piace ricordare che, in occasione dei 25 anni di porpora (era il febbraio 1990), recai un assegno, per suo volere esplicito, al parroco di San Galdino presso le Case Bianche. Un’offerta per lo stesso quartiere da cui papa Francesco ha iniziato la visita a Milano. Il Cardinale ben conosceva i bisogni delle periferie e sapeva provvedervi con discrezione, alla maniera milanese, davvero col coeur in man.