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Dalla nascita fino alla fine dei nostri giorni noi costruiamo continuamente delle immagini, coscienti e non coscienti, e grazie a questo immaginario possiamo avere nuove esperienze e sensazioni. E con l’immaginario si può intervenire anche su forme patologiche di ansia e depressione. Ne parliamo con il professor Renzo Rocca, docente della Scuola di psicoterapia con la procedura immaginativa e fondatore dell’Istituto di psicologia clinica Rocca-Stendoro di Milano.

di Rosangela Vegetti

Che immagine hai del tuo futuro? Come ti immagini il tuo compagno o la tua compagna? Se pensi a tuo padre o a tua madre che cosa ti viene in mente? Domande correnti anche nella conversazione comune, eppure hanno in sé delle verità. «Sono pensieri – dice il prof. Rocca – che in fondo mi interpellano sul perché faccio una certa cosa, perché ci sono nel mondo, dove sono con la mente, con l’attenzione, con la coscienza: è la base per la preziosa crescita della persona». 

L’immaginario è la fonte preziosa di energie, di sensazioni, di conoscenze, quello che ci fa andare oltre i nostri limiti di spazio e ditempo. «Di una persona a distanza abbiamo prima un’immagine, questa mi crea un pensiero e questo mi dà la parola per comunicare. Con il mio immaginario, attraverso l’amore, la speranza e la preghiera, riesco ad avere un senso di sicurezza. Come noi costruiamo questo immaginario possiamo essere sereni o disperati. Chi è colpito dalla malattia mentale o dalla nevrosi o dalla psicosi, ha un immaginario alterato e allora cade nella depressione». 

Questo non vuol dir che uno stato di nervosismo, di distrazione o di insicurezza di un ragazzo/a sia anticamera di comportamenti violenti e di forme gravi di depressione, perché «devono coesistere molte variabili per portare ad atti concreti di violenza; non si nasce violenti, lo si diventa, ma non per una sola causa, quanto per tanti motivi coincidenti. 

Per esempio i giovani di Parigi sono immigrati non integrati, che hanno perso una loro identità e che magari sono soggetti a facili suggestioni fino a compiere atti violenti di rivolta politica; poi ci sono le bande che compiono atti delinquenziali per imporsi sugli altri del quartiere». 

Allora possiamo dire che genitori ed educatori possono riconoscere eintervenire nelle situazioni di normale alterazione di umore dei loro ragazzi/e. «Per prima cosa bisogna capire – indica il prof. Rocca – qual è il disagio del giovane. Se c’è un disagio profondo, come in una depressione o una fobia, o l’alterazione del cibo per anoressia e bulimia, è importante che la famiglia si rivolga a un consultorio, o counseling o a centri specifici dove si è seguiti in maniera precisa. Se i problemi esistenziali sono di più facile emozione, il rapporto coi genitori o con l’insegnante o con persone attente al problema, può essere risolutivo». 

E’ importane ascoltare e scoprire l’immaginario del ragazzo, perché l’immaginario «non serve solo per curare, ma per sviluppare le doti potenziali e creative che ognuno ha dentro di sé e va fatto emergere. Tutti i grandi artisti hanno sfruttato e dato corpo alla loro immaginazione, a quello che l’immaginario produceva in loro». 

Ma la questione della violenza giovanile ci colpisce e ci sconcerta perché non ne comprendiamo le ragioni o le origini. «Quello che crea confusione nei giovani è il modo con cui gli adulti si adeguano a loro; vi sono genitori, insegnanti, educatori che considerano il problema della violenza come un aspetto dell’età giovanile. La definisco la "generosa tolleranza" e la considero molto negativa [«fa una trasgressione, ma è un’esperienza temporanea che poi passerà…»]. La ritengo una "pseudo-comprensione" perché dietro la comprensione apparente sta forse il desiderio di non essere giudicato o di non essere tagliato fuori dal dialogo coi giovani, ed è molto dannosa. Una delle maggiori cause della violenza o del disagio giovanile è proprio la mancanza di certezze e di punti di riferimento da parte del giovane; le numerose novità etiche e sociali sono spesso all’origine di questa incertezza». 

Un aspetto diffuso dell’esperienza dei giovani è quindi la solitudine che molti denunciano come compagna delle loro giornate e fonte di sensazioni sgradevoli di vuoto e di instabilità: «Quando ci guardiamo senza vederci, ci tocchiamo senza sentirci, ci parliamo senza amarci e senza capirci. La solitudine – spiega il prof. Rocca – colpisce il nucleo centrale della persona umana, e produce frammentazione delle proprie esperienze e delle relazioni». È il primo passo per i giovani verso disagi profondi da prevenire quanto possibile.

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