Redazione
A partire dal messaggio che il card. Tettamanzi ha rivolto ai rappresentanti delle comunità cristiane della Chiesa di Dio che è in Milano in occasione della Giornata della pace il primo gennaio scorso, si devono fare importanti riflessioni sul percorso ecumenico già compiuto e su quanto si profila per il futuro. La firma della "Charta Oecumenica" è un passo decisivo verso nuovi programmi di impegno comune tra i cristiani. Ne parliamo con don Gianfranco Bottoni, responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il dialogo della Diocesi di Milano
di Rosangela Vegetti
Le parole dell’Arcivescovo richiamano il concetto di "comunità della grande Chiesa" per indicare le diverse confessioni cristiane presenti sul territorio diocesano, questo riscoprirsi e riconoscersi necessari gli uni agli altri per dare volto alla Chiesa in Milano è un invito a scuotersi per camminare verso l’unità?
Ritengo molto significativo, dal punto di vista ecumenico, che il card. Tettamanzi, Arcivescovo di Milano e Cardinale della Chiesa di Roma, nel suo messaggio del 1° gennaio si sia rivolto “a tutte le Comunità cristiane della Chiesa di Dio che è in Milano”, includendo esplicitamente le comunità parrocchiali della vastissima diocesi cattolica e le comunità ecclesiali di altra confessione rappresentate nel Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. È una formula antica quella di “Chiesa di Dio che è…” in un luogo determinato, ed esprime la convinzione che unica è la Chiesa di Gesù Cristo (l’una et sancta), anche se frammentata in più chiese confessionalmente diversificate. E che oggi a dire questo, con apertura e rispetto delle differenze, sia un’autorevole voce cattolica, una voce di vescovo e di pastore, veramente al di là dei confini confessionali, in un momento in cui c’è un rigurgito di confessionalismo e di chiusure identitarie, mi pare un segno di notevole portata, un forte riconoscimento del primato dello Spirito, unico protagonista vero dell’autentica esperienza cristiana e della missione ecclesiale. C’è dunque la grande Chiesa di Gesù Cristo, che nessuna singola realtà confessionale esaurisce in sé, anche se ogni chiesa ha la pretesa di poterla rappresentare fedelmente. L’ecumenismo, di conseguenza, consiste nel rispettare ogni confessione nel suo impegno di fedeltà all’evangelo e alla tradizione che l’ha interpretato e vissuto nella storia e, nello stesso tempo, consiste nel far crescere la consapevolezza che nessuna singola chiesa può sentirsi autosufficiente nella missione di evangelizzare e incarnare oggi l’evangelo di Gesù Cristo.
Da questo spunto si possono attendere proposte nuove di vita pastorale per le parrocchie e le comunità diocesane?
Per uscire dall’astrattezza, la formazione ecumenica dovrà cercare di proporre soprattutto incontri e scambi tra cristiani di diverse confessioni, tra le loro reciproche parrocchie, associazioni, comunità religiose, istituzioni ecclesiastiche, centri culturali e accademici, iniziative sociali e cooperative, ecc. Senza la conoscenza reciproca e diretta tra persone e realtà vive, infatti, sono inevitabili i pregiudizi e gli equivoci che invece vanno superati. La vita cristiana è vita a tutti i livelli e dimensioni. La dimensione ecumenica è quella “cattolica” per eccellenza – intendendo cattolica proprio nel senso che è di tutti e per tutti – , ma non può che essere “vita” cristiana secondo la pienezza dell’intero, dell’intera ricezione del messaggio rivelato nella più ampia tradizione cristiana.
L’Arcivescovo per primo si pone in linea di collaborazione con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane e quali traguardi intende perseguire?
La firma della Charta Oecumenica da parte dell’Arcivescovo e di altri leader della locali chiese cristiane, il prossimo14 aprile nella chiesa di Santo Stefano a Milano, è un fatto emblematico ed eloquente. Esprime l’intenzione di recepire – nella realtà ecclesiale ed ecumenica milanese – i contenuti e le proposte di impegno formulate nelle “Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa”, come dice il sottotitolo della Carta firmata a Strasburgo nell’aprile 2001 dai presidenti e segretari della KEK (Conferenza delle Chiese evangeliche) e del CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali europee) che rappresentano tutte le chiese e confessioni cristiane europee. Allora, in occasione della cerimonia di consegna, la Carta fu data ai giovani perché la portassero alle rispettive chiese che liberamente dovevano impegnarsi a fare propri i contenuti del documento. Negli impegni ivi espressi le chiese di Milano hanno materiale prezioso per avviare progetti comuni. La firma dei vari Responsabili e, con loro, dell’Arcivescovo indica questa linea di collaborazione non solo come possibile, ma come opportuna. L’attuazione dipende poi anche dalla reale sensibilità e volontà alla base di ogni comunità. E forse già dalle riflessioni che verranno proposte nel corso di questa Settimana potranno scaturire nuovo iniziative per l’unità dei cristiani a Milano.