Parla Michela Gaffuri Riva, cooperante italiana rientrata a Lecco, impegnata nell’ambito carcerario durante l'emergenza
Il Covid-19 è arrivato ovunque con i suoi effetti devastanti. In Italia si conosce bene la sua diffusione, all’estero nei paesi dove le Ong lavorano non è sempre facile capire gli effetti del contagio e il lavoro dei cooperanti e dei volontari si fa così più complesso e precario.
L’Associazione Centro Orientamento Educativo – COE ha avviato fin dall’inizio della pandemia lo scorso febbraio diversi colloqui via Skype con i rappresentanti-Paese e con i capi progetto di Camerun, Congo, Bangladesh e Guatemala dove opera in modo capillare per analizzare l’emergenza in loco.
Il Coe si è cosi subito attivato per garantire un supporto agli ospedali e ai centri di formazione e accoglienza di persone in condizioni di vulnerabilità con cui lavora in Camerun, Congo, Bangladesh e Guatemala, gli uni particolarmente coinvolti nel contrasto all’epidemia Covid-19 tanto quanto non attrezzati per farvi fronte, gli altri che cercano con modalità diverse e creatività di non far mancare il loro servizio ai più fragili in un momento di grandi limitazioni e restrizioni.
Contestualmente il Coe ha coordinato un’azione di monitoraggio di alcuni progetti con l’obiettivo di riformulare alcune azioni anche in seguito al rientro del personale italiano su invito della Farnesina.
Michela Gaffuri Riva, lecchese, cooperante in Camerun con Associazione Coe, è rientrata in Italia nel giro di due giorni insieme ad altri colleghi. Capo progetto di “Sguardo oltre il carcere. Rafforzamento della società civile nell’inclusione sociale e nella tutela e promozione dei diritti dei detenuti ed ex-detenuti in Camerun”, cofinanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo – AICS, ora segue gli interventi dalla sua casa a Merate tra telefonate via WhatsApp e riunioni su Skype e racconta: «Sono responsabile del coordinamento in Camerun di “Sguardo Oltre il Carcere” da settembre 2018 e cimentarmi nella gestione del progetto a distanza è una sfida continua e complessa. Significa capire le evoluzioni dei contagi in Camerun; rimanere aggiornati in tempo reale su continui provvedimenti adottati dalle autorità locali per poterne valutare l’impatto sulle attività, rimodulare le azioni al contesto segnato dal Covid-19 garantendo da un lato la sicurezza del personale locale del progetto e dei beneficiari e dall’altro la tutela dei diritti di questi ultimi».
«Interrompere bruscamente percorsi di assistenza legale, di formazione e di inclusione economico-sociale di detenuti ed ex-detenuti in un momento di grande delicatezza e instabilità renderebbe ancora più vulnerabili target che già lo sono – sottolinea -. Grazie anche alla preziosa collaborazione con la collega amministratrice rientrata con me in Italia, con i partner Italiani disposti a continuare il loro accompagnamento tecnico a distanza, con il direttore scientifico in loco e con tutti gli operatori locali, ora posso dire che le attività di “Sguardo oltre il Carcere” continuano, anche se in parte riadattate, con risultati positivi e in linea con la logica originaria dell’intervento».
Il progetto
“Sguardo Oltre il Carcere”, con la partecipazione di 7 soggetti della società civile camerunese che operano nelle carceri di Douala, Mbalmayo, Garoua e Bafoussam e grazie alla collaborazione di 5 partner – Ingegneria Senza Frontiere Milano – Milano, Comune di Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, Avvocato di Strada Onlus, DIKE – Cooperativa per la mediazione dei conflitti – ha come obiettivo specifico quello di rafforzare la sociétà civile nell’inclusione sociale e nella tutela e promozione dei diritti di detenuti e ex-detenuti. Per raggiungerlo, il progetto lavora su:
-la capacità delle imprese sociali costituite nelle varie carceri di accompagnare e promuovere il reinserimento socio-professionale di detenuti e ex-detenuti;
-la costruzione di una cultura attenta alla persona detenuta e la partecipazione della società civile all’umanizzazione delle condizioni di detenzione;
-la promozione delle pene alternative alla detenzione da parte della società civile;
-la promozione del paradigma della giustizia riparativa e della mediazione penale.
Durante la pandemia
«La sensibilizzazione della società esterna al carcere passa per poesie e canzoni rap a tema COVID-19 scritte dai detenuti – spiega ancora Michela -. Ci si focalizza sul fuori, con percorsi di reinserimento socio-professionale e accompagnamento psico-sociale di ex-detenuti, ma si mantiene il contatto (mediato) con il dentro, al momento inaccessibile per gli attori della società civile nell’ottica di ridurre il rischio di contagio, solo per contribuire alla tutela dei diritti fondamentali della persona detenuta (assistenza legale, supporto in termini di dispositivi di protezione, disinfezione e igiene) e la continuità di attività di formazione professionale ed economia carceraria. Inoltre, le imprese sociali che riuniscono gli attori sociali operanti nelle varie carceri toccate dal progetto hanno convertito parte della loro produzione per rispondere al bisogno di protezione della popolazione carceraria, del personale penitenziario e della popolazione in generale».
La cooperativa
Un esempio emblematico è quello della cooperativa degli attori sociali che intervengono nella prigione principale di Mbalmayo, che, con l’appoggio tecnico di Ingegneria senza frontiere – Milano, in marzo ha iniziato la produzione di sapone liquido e gel idro-alcolico da fornire gratuitamente alle carceri. Una volta rifornite le carceri, i prodotti saranno venduti alla collettività a prezzi esigui (in particolare scuole, ospedali, gruppi sociali marginalizzati) a prezzi sociali per permettere la continuità delle attività produttive dell’impresa sociale.
«La cooperativa di Mbalmayo ha sentito di dover dare un contributo alla lotta contro il COVID-19 in Camerun e in particolare in carcere, un ambiente particolarmente a rischio – rileva Alphonse Tabi Abessolo, manager della cooperativa -. La produzione di gel e saponi ha coinvolto gli ex-detenuti del carcere di Mbalmayo che da un lato hanno beneficiato di una formazione teorica e pratica su un’attività artigianale che può generare reddito nell’ottica di facilitare il loro reinserimento socio-professionale, dall’altro si sono impegnati in prima persona in un’azione utile per coloro che sono ancora in carcere e per tutta la collettività. Da quando il Covid-19 ha iniziato a diffondersi in Camerun, nell’ambito del progetto abbiamo rivisto le procedure di sicurezza e le modalità di lavoro insieme al coordinamento del progetto e a Ingegneria senza Frontiere – Milano. Nonostante la distanza, la comunicazione è costante e la collaborazione efficace».