L’Arcivescovo ha presieduto il Pontificale della Domenica delle Palme in Duomo. «Il Vangelo ha un annuncio per questa città dove la gioia è ancora trattenuta»
di Annamaria
Braccini
Mai forse come quest’anno, l’entrare in città per una festa nuova, rivela tutto il suo significato, parla al cuore, vince la tristezza imperante, fa guardare con fiducia alla rinascita.
Nella Solennità della Domenica delle Palme – grande portale che introduce alla Settimana autentica -, la memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme diviene simbolo vivo dell’attesa, della speranza che non muore anche nelle città che oggi consideriamo insicure e pericolose. Nel luogo che era e rimane, nonostante i numeri contingentati e tutto ciò che non si può fare, la casa di tutti i milanesi. Quel Duomo, al cui interno si svolge comunque una piccola processione con le palme e gli ulivi portati tra le mani dall’Arcivescovo, che presiede il Pontificale solenne, e dai Canonici del Capitolo metropolitano che concelebrano.
La Gerusalemme di 2000 anni fa e la Milano di oggi, lontane nel tempo e nello spazio, sono così accomunate da quell’unico Signore capace di radunare intorno a sé uomini e donne che, nei secoli, hanno fondato e affollato città, metropoli e megalopoli. Facendolo perché «forse, costretti dalla necessità, per cercare lavoro, lasciando la poesia degli spazi aperti; per ambizione o interesse, guadagno o scalata sociale, per imprese spregiudicate o incontri, per organizzare e cercare sicurezza, per uscire da orizzonti angusti e per trovare parole fresche, esperienze inedite, audacia di visioni». E, forse, anche per curare meglio le malattie, ragione per cui ora alcuni (molti) la fuggono, «preferendo lavorare lontano, cercando rifugio nella solitudine, sentendosi rassicurati se evitano gli incontri, il radunarsi della folla, perché stare insieme può essere pericoloso». In ogni caso, proponendo alternative per cercare quello che prima si cercava in città: «Il lavoro si può fare da casa, si può continuare a studiare anche se non si va a scuola, si combinano affari anche senza incontrarsi di persona».
Ma per tutti la parola del Vangelo contiene un annuncio, scandisce il vescovo Mario. «Non temere, si prepara una festa per la città. C’è una folla che attende il giorno della festa. C’è un canto che aspetta di essere cantato, c’è un desiderio di corale esultanza che invoca di potersi esprimere, un grido che vorrebbe risuonare. L’annuncio che semina un fremito e una speranza rivela l’avvicinarsi di una festa nuova, di un evento che dà compimento a speranze più profonde di quella di ricordare una tradizione».
È l’annuncio che ciascuno attende tra le strade delle nostre città e paesi «dove la gioia è come trattenuta, l’accorrere festoso è rimandato e non è ancora venuto il momento per eseguire il canto».
Sapremo raccogliere l’invito? domanda il vescovo Mario, chiedendosi per quale festa ci stiamo preparando. «I cittadini si lasceranno convincere a celebrare la rivelazione sorprendente? Sapranno ospitare la gioia che non avevano sperato? Saranno pronti per una esultanza che non è l’euforia di un momento, il rito di un giorno, ma una vita che dimora nella pace?». Una festa nuova che è tale perché ci raduna il Signore?
Gesù, infatti, «è il re che può dare alla città il volto di un luogo dove sia desiderabile abitare. Non per forza, non per paura, non per interesse, non per ambizione. Gesù inaugura un regno che non è di questo mondo: il modo di essere re che non si esprime con il dominio, ma con il servizio e la mitezza». «Ecco la festa nuova, quella che si costruisce nel nome del Signore», nella città abitata «da un popolo nuovo che riconosce in lui la vocazione a essere fratelli e sorelle».
È la vita che rinasce, il tempo nuovo: Pasqua di risurrezione «per coloro che sono nuovi perché portano pensieri ancora non pensati, sogni ancora non sognati, progetti seminati da uno spirito creatore, vocazioni ancora non compiute, città ancora non disegnate. Si aspettano i giovani, si aspettano i bambini perché abbia inizio la festa nuova». Tutti insieme «radunati da ogni terra, da ogni storia di uomini e donne che portano in città canti e danze antiche eppure nuove quando risuonano in una terra che non li conosce. Si convocano tutte le genti, perché un popolo nuovo, la Chiesa dalle genti, sia la folla che va incontro a Gesù gridando in ogni lingua, Osanna, Benedetto colui che viene nel nome del Signore».