Evento ecumenico da Sant’Eustorgio a San Lorenzo, con i ministri delle varie confessioni e i cittadini. L'Arcivescovo: «Vogliamo essere l’anima dell’Europa perché vogliamo imparare a pregare»
di Annamaria
BRACCINI
Tutto inizia con un cuore e una casa aperta. Così è stato per il radicamento del cristianesimo in Europa, così è nato il sogno dei Padri fondatori per un’Europa dei popoli e così deve essere per l’Europa unita di oggi e, soprattutto, di domani. Sotto un sole finalmente primaverile, tra canti, preghiera, testimonianze, silenzio e riflessione, dal sagrato della basilica di Sant’Eustorgio si avvia l’iniziativa promossa dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano – 19 le confessioni aderenti e presenti con i loro Ministri, tra cui l’Arcivescovo – e da molte articolazioni e associazioni ecclesiali.
Nell’anniversario della “Dichiarazione Schuman” – Festa dell’Europa, a 69 anni da quando il Ministro degli Esteri francese indicò la necessità del perdono come cifra fondamentale della nuova Europa – ci si riunisce intorno ai simboli della “casa comune”. Come la bandiera a 12 stelle in campo azzurro, tenuta dai partecipanti, tra cui l’Arcivescovo, il vescovo monsignor Giuseppe Merisi e l’archimandrita della Chiesa ortodossa greca del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli Teofilactos Vitsos, attuale presidente del Consiglio delle Chiese.
Chiudersi è pericoloso
Elisabetta, giovane insegnante della Comunità di Sant’Egidio, nella sua breve testimonianza iniziale dice: «L’Europa significa dire “noi” in un’epoca in cui dominano l’egoismo e il nazionalismo. Nessuno è un’isola, anche se l’illusione dell’isolamento può sembrare rassicurante. Sentiamo che chiudersi al mondo non solo è miope, ma pericoloso. L’Unione tra i popoli europei è un grande tesoro, non possiamo tenerlo solo per noi», conclude, citando la lettera straziante scritta ai responsabili dell’Ue da due ragazzi, morti di freddo nel carrello di un aereo nel tentativo di lasciare l’Africa, a metà degli anni Novanta.
Si arriva in silenzio davanti alla basilica di San Lorenzo Maggiore, dove da anni lavora anche il Forum delle Religioni. A raccontare la loro esperienza sono Alessandra e Antonio, sposati da 38 anni, che hanno accolto Bakary, un ragazzo del Gambia, partito dal suo Paese, a 15 anni, da solo. Aderendo a “Fare sistema oltre l’accoglienza”, progetto di una rete di famiglie che coinvolge circa 25 nuclei familiari a Milano e cerca di portare questi giovani all’autonomia, la loro lezione è chiara: «La famiglia non sono i legami di sangue, ma le relazioni che si creano».
La preghiera
Poi, il terzo momento della manifestazione, la Preghiera per l’Unità, con l’ascolto della Parola di Dio e gli interventi di rappresentanti di tre Chiese.
Padre Traian Valdman, della Chiesa ortodossa romena, sottolinea: «Dio riconcilia questo mondo attraverso il perdono e l’amore. È questo il miracolo operato a favore di tutta l’umanità». Ma perché tale miracolo continui, occorre che tutta l’umanità sia disponibile ad accogliere e a farsene portatrice: «In nome di Cristo, siamo ambasciatori e questo ci responsabilizza. Noi, che viviamo in questa patria che è l’Europa, siamo chiamati a superare ogni conflitto che fa ritardare la piena riconciliazione, che non significa uniformità, ma unità nella diversità. Abbracciamoci gli uni gli altri e, insieme, proclamiamo il Cristo risorto. Nel mondo dove si parla solo di mali e non di valori, sentiamo il dovere di farci ambasciatori di Dio a servizio degli uomini e dell’Europa dello Spirito. Facciamo valere i valori della pace, della tolleranza e della solidarietà: le Chiese, coscienti della comune responsabilità, resistono a ogni tentativo di strumentalizzazione della religione a fini non religiosi».
Dorothee Mack, pastora della Chiesa evangelica metodista, nota: «Ognuno potrebbe raccontare la propria storia, i primi passi nel Continente europeo, ma oggi è importante narrare l’inizio degli inizi, a Filippi di Macedonia (il riferimento è al 16esimo capitolo degli Atti degli Apostoli), quando Lidia, la prima cristiana europea, aprì le porte della sua casa. Accoglienza e ospitalità sono le radici del Cristianesimo in Europa. Tutto inizia con un cuore e una casa aperta. Chiediamo la fede e il coraggio di continuare ad accogliere in Europa».
La riflessione dell’Arcivescovo
Prende infine la parola l’Arcivescovo: «Spesso, rileggendo la storia, noi cristiani restiamo umiliati e confusi. Avremmo dovuto essere l’anima del mondo; invece, ci siamo, come tutti, lasciati sedurre dall’avidità delle ricchezze e dalla bramosia del potere. Avremmo dovuto essere un principio di unità tra i popoli e, talvolta, siamo stati un elemento di divisione tra cristiani, credenti nell’unico Signore. Avremmo dovuto essere il popolo della pace e, invece, in alcuni momenti – in troppo lunghi momenti -, ci siamo fatti la guerra. Avremmo dovuto essere gente solidale, attenti ai poveri, disponibili all’accoglienza e, invece, troppe volte, siamo stati popoli conquistatori, che hanno saccheggiato il pianeta e hanno umiliato i popoli». Un senso di umiliazione che ha tanto a che fare anche con il credere di poter fare a meno del Cristianesimo, «per costruire la pace, la civiltà», con una decisione «di lasciare perdere il riferimento a Gesù Cristo e alle Chiese che ha creato drammi peggiori e guerre più tremende».
Eppure – osserva – tutto questo non deve scoraggiare, ma essere di insegnamento. «Costruiremo l’Europa non perché saremo più bravi dei nostri padri, più spirituali e più liberi, ma perché ci affideremo alla preghiera di Gesù. Camminiamo verso una nuova Europa, noi, Chiese cristiane, perché lasciamo che Gesù preghi per noi, “Che siano tutti una cosa sola, come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato”. Così, consapevoli dei fallimenti della nostra intraprendenza, è tempo che impariamo la docilità. Vogliamo essere l’anima dell’Europa perché vogliamo pregare, vogliamo imparare a pregare. Vogliamo imparare a camminare in umiltà e mitezza. Non siamo perfetti, non abbiamo imparato tutto dalla nostra storia; però, siamo qui, a proporci che – per grazia di Dio – scriveremo una storia nuova».
Con una preghiera scritta dal cardinale Martini, il gesto simbolico di richiamare i pilastri su cui poggia l’Europa – perdono, riconciliazione, pace, libertà, memoria, democrazia, fratellanza, solidarietà, salvaguardia del Creato, bene comune, giustizia, cultura dell’integrazione, unità nella diversità -, la recita corale del Padre Nostro e la benedizione impartita da tutti i Ministri delle Chiese, la conclusione è nella fraternità condivisa.