Se tutti nella Chiesa sono coinvolti nella sua duplice dimensione secolare ed escatologica, i laici hanno una propria “indole secolare” che li pone nel mondo non in modo occasionale, ma con significato teologico ed ecclesiale
di Valentina
SONCINI
già presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana
Fin dalle primissime affermazioni del cardinale Dionigi Tettamanzi si ritrovano i termini «missionarietà» ed «evangelizzazione». In Mi sarete testimoni egli così introduceva il suo primo percorso pastorale e, visto a posteriori, direi tutto il suo episcopato ambrosiano: «Che cosa è la testimonianza e l’annuncio del Vangelo di Gesù se non un “chiamare alla fede” gli uomini e le donne che incontriamo…? E il “chiamare alla fede” non è ordinato alla trasmissione della fede di generazione in generazione? Che cosa è la missione evangelizzatrice, che la Chiesa svolge nel corso della storia in obbedienza al comando del Signore risorto, se non un “far conoscere la verità” che è Gesù Cristo stesso? L’evangelizzazione è una missione non mai conclusa, (…) permanente… che coinvolge tutti, nessuno escluso. (…) Siamo veramente di fronte (…) alla questione centrale, in un certo senso unica e decisiva: l’evangelizzazione e la fede sono il “caso serio” della Chiesa… (la) parola di Gesù risorto svela tutta la gravità, anzi la drammaticità della sfida pastorale che la Chiesa è chiamata oggi ad affrontare (…) in modo più coraggioso».
Rispetto a questa sfida pastorale l’Arcivescovo aveva anche indicato nelle stesse pagine «il modo “proprio e peculiare” dei laici, dei consacrati e delle famiglie di essere Chiesa immersa nel mondo a servizio del Regno». Se tutti nella Chiesa sono coinvolti nella sua duplice dimensione secolare ed escatologica, i laici hanno una propria “indole secolare” che li pone nel mondo non in modo occasionale, ma in modo proprio e con significato teologico ed ecclesiale. Essi sono chiamati a evangelizzare con una testimonianza di vita cristiana coerente che li porta a essere anche «segno di contraddizione evangelica».
Alla luce di queste iniziali affermazioni, acquistano particolare importanza alcune scelte precise seguite negli anni. Nel 2005-2006 fu posta al centro la testimonianza, cifra fondamentale del Convegno ecclesiale di Verona la cui prolusione venne tenuta proprio da Tettamanzi. L’impostazione stessa del Convegno aveva coraggiosamente scelto di far confrontare la Chiesa italiana con le condizioni dentro le quali i laici normalmente vivono: affetti, fragilità, lavoro-festa, cittadinanza, tradizione. Voler ridisegnare la comunità cristiana a partire dalle persone e dalle loro condizioni di vita secolare, dentro le quali annunciare la novità del Vangelo, è una rivoluzione copernicana che può veramente rendere protagonisti i laici.
A Milano i passi compiuti poi sono stati interessanti in almeno due direzioni: nella scelta di porre al centro, nel secondo percorso pastorale triennale, la famiglia intesa come soggetto di evangelizzazione e di rinnovamento del tessuto sociale; nella sottolineatura nell’anno sacerdotale anche del sacerdozio comune dei fedeli, che ha trovato espressione alta e felice nell’omelia del Giovedì Santo del 2008. Proprio un volto di Chiesa caratterizzato dalla diversità delle vocazioni, tutte aperte all’unica missione evangelizzatrice, permette di comprendere il senso compiuto dello stesso ministero ordinato.
Nel suo ultimo biennio il Cardinale richiamò il tema della missionarietà laicale con espressioni forti: siamo tutti «pietre vive», chiamati alla santità e a una testimonianza forte di solidarietà. Ma per comprendere e vivere questa chiamata egli evidenziò la necessità di un rinnovato sforzo formativo.
Queste linee magisteriali si sono confermate nelle indicazioni via via rivolte ai laici in occasioni più particolari, come per esempio agli amministratori, alla città di Milano o ai laici di Azione Cattolica. A questi ultimi l’Arcivescovo ha sempre ricordato il significato vocazionale dell’essere corresponsabili nella Chiesa, mistero di comunione, e testimoni nella storia, incoraggiandoli a cercare modalità nuove di annuncio del Vangelo.
In conclusione: le sue parole rimangono come un invito rivolto a tutti i fedeli (preti, religiosi, laici…) a essere più coraggiosi nell’assumere nei fatti e non solo a parole la corresponsabilità ecclesiale, a vivere una cura maggiore dello stile di comunione attento a tutti, a imprimere più slancio nell’evangelizzazione, a porre con più «spregiudicatezza evangelica» gesti nuovi rispetto ai bisogni del tempo.