L’Arcivescovo, in un Duomo gremito di fedeli, ha presieduto la Celebrazione del primo giorno dell’anno, incontrando, poi, i ministri e rappresentanti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano
di Annamaria
Braccini
Chiamati tutti a testimoniare l’annuncio essenziale, la dichiarazione di amore del Signore Gesù verso i sui figli, «radunati per la professare la fede, anche se dolorosamente divisi, ma sinceramente desiderosi di pace e di riconciliazione».
È questo che l’Arcivescovo chiede ai rappresentanti e ministri delle Chiese cristiane presenti in Duomo per il Pontificale solenne dell’1 gennaio 2020. Speranza e augurio che si estende ai moltissimi fedeli che prendono parte alla Celebrazione, tra cui coloro che hanno camminato per le vie del centro di Milano, nella marcia organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, portando striscioni di pace e i cartelli con i nomi dei Paesi ancora segnati da guerre e persecuzioni. Concelebrano il Rito, una ventina di sacerdoti tra cui i vescovi monsignor Francesco Brugnaro e Paolo Martinelli.
Dalla signoria del Signore, come espresso nella Lettera ai Filippesi, si avvia la riflessione dell’Arcivescovo.
«Questa professione di fede nella signoria di Gesù può suonare il riconoscimento di un dominio che si impone, di un trionfo che pretende la sottomissione, di una autorità che chiede obbedienza. Gesù è Signore: tutti quindi devono adorarlo. Invece noi sappiamo che la Signoria di Gesù che si è umiliato fino alla morte e alla morte di croce, non è la rivelazione di un potere mondano. È invece una dichiarazione di amore» verso gli uomini chiamati, così, a condividere la vita del Figlio.
«Gesù, nel frammento della sua storia e nell’umiliazione della sua obbedienza, si fa vicino a ogni frammento della storia e a ogni umiliazione per dire: io vi amo, amo anche te che non mi conosci, io amo anche te, che mi rifiuti, io amo anche te che mi disprezzi, io amo anche te che mi ritieni una minaccia per la tua libertà, io ti amo e ti libero e ti salvo; io amo anche te, che temi una religione che ti impone regole e sacrifici: ti amo senza pretendere niente, ti amo e quanto desidero che tu sia felice e perciò mi sacrifico per te; amo anche te che ti sei fatto una idea fantastica e confusa di un dio minaccioso che non esiste, anche te che hai costruito una filosofia bizzarra di un dio lontano e indifferente, di un dio ambiguo ed enigmatico».
Per questo siamo discepoli, donne e uomini in cammino e diventiamo, quindi, operatori di pace, sottolinea il vescovo Mario che cita il Messaggio per la 53esima Giornata Mondiale della Pace di papa Francesco, «che ascoltiamo sempre con tanto affetto, ammirazione e che ci istruisce e guida con sapienza».
«Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo senza esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giungere veramente alla pace se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse. Il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta. Si tratta di abbandonare il desiderio di dominare gli altri e imparare a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli».
E, questo, a livello di rapporti personali e sociali, ma non solo. «Non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico. Questo cammino di riconciliazione è anche ascolto e contemplazione del mondo che ci è stato donato da Dio affinché ne facessimo la nostra casa comune».
«La conversione ecologica alla quale facciamo appello ci conduce quindi a un nuovo sguardo sulla vita, considerando la generosità del Creatore che ci ha donato la Terra e che ci richiama alla gioiosa sobrietà della condivisione. Si tratta prima di tutto di credere nella possibilità della pace, di credere che l’altro ha il nostro stesso bisogno di pace. In questo, ci può ispirare l’amore di Dio per ciascuno di noi, amore liberante, illimitato, gratuito, instancabile. La paura è spesso fonte di conflitto. È importante, quindi, andare oltre i nostri timori umani. La cultura dell’incontro tra fratelli e sorelle rompe con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro una possibilità e un dono dell’amore generoso di Dio. Ci guida ad oltrepassare i limiti dei nostri orizzonti ristretti, per puntare sempre a vivere la fraternità universale».
In conclusione, dopo la benedizione, all’inizio dell’anno civile, dei concelebranti con i ministri del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, il pensiero va ancora alla pace, nel ringraziamento a “Sant’Egidio” – «che ha portato in questa città i nomi dei Paesi dove c’è sofferenza, guerra, umiliazione dell’umanità; Paesi dove ci sono ferite e vergogne» – e al Consiglio ecumenico.
«Vorrei che tutti noi apprezzassimo la grazia che il Signore ci fa di essere insieme. Le Chiese cristiane possono e devono fare molto. Dobbiamo fare in modo che la benedizione di Dio sia desiderata da tutti coloro che vivono i questa terra che noi amiamo».
L’incontro con i rappresentanti delle Chiese Cristiane
Espressioni che risonano anche, nella Cappella arcivescovile, poco dopo, nell’incontro ormai tradizionale con il Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, introdotto da monsignor Luca Bressan, vicario episcopale di Settore e in cui prende la parola il presidente del CCCM, l’archimandrita Tefilactos Vitsos, presente il vicepresidente, don Lorenzo Maggioni e il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e il Dialogo.
Momento ormai divenuto tradizionale. «La grazia ci permette di iniziare questo anno con la gioia di incontrarci», dice Vitsos, ringraziando l’Arcivescovo e i membri del Consiglio «che hanno lavorato per promuovere iniziative e occasioni di reciproca conoscenza. La sensibilizzazione ecologica, con la cura e la salvaguardia del Creato, vedono l’attenzione anche da parte delle Chiese. La concessione del diritto di superficie della chiesa di Santa Maria Podone, alla chiesa ortodossa greca, (firmato da monsignor Delpini e dall’arcivescovo ortodosso di Italia e Malta del Patriarcato ecumenico, il 17 dicembre scorso, Gennadios) sono un esempio. Probabilmente l’uomo di oggi ha bisogno di luoghi dove poter pregare e, in questo come Comunità ortodossa, vogliamo essere accanto alla Chiesa cattolica».
Chiara la risposta dell’Arcivescovo: «La vostra presenza e la vostra preghiera rendono significativo questo momento. La preghiera condivisa deve essere guidata dalla domanda su come facciamo a dire Dio a questa città che costruisce spazi per iniziative culturali, finanziarie, commerciali, ma in cui non è pensato un luogo di preghiera. In questa epoca siamo chiamati a benedire la città con la presenza di Dio. Da Milano dobbiamo alzare lo sguardo e ricordare tutti i luoghi dove i cristiani soffrono per la loro fede e sensibilizzare le nostre comunità. Qualche gesto comune – come il già deciso spazio che dovrà essere, a breve, individuato a Milano – può tenere via la memoria di luoghi dove i cristiani sono perseguitati. Ci sentiamo alleati nell’attuare il Sinodo “Chiesa dalle Genti”, con cui costruiamo un nuovo volto della città. L’accoglienza, il riferimento è al titolo della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, “Ci trattarono con gentilezza” (At 28,2), non sia una specie di benevolenza, ma una responsabilità condivisa per cui impegnarci a pregare gli uni per gli altri. Il Signore ci attribuisce una grande missione».