Il presidente di Greenaccord: «La Chiesa italiana non può non farsi carico del grido della Terra e del grido dei poveri. La pandemia ci ha fatto piombare in un senso di precarietà che il frastuono godereccio ci aveva fatto dimenticare»
di Gigliola
Alfaro
Agensir
«L’ambiente che soffre e sembra ribellarsi alla tirannia dell’uomo, il comparto economico – da cui dipende il lavoro – che necessita di un sostanzioso cambiamento e rinnovamento e il futuro che appare nebuloso e fosco specie per i più giovani». Per Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord, le tre direttrici del tema scelto per la 49ª Settimana sociale, “Ambiente, lavoro, futuro. #tutto è connesso”, rappresentano le preoccupazioni principali odierne.
In che modo ambiente, lavoro e futuro sono legati tra di loro e per un mondo migliore è necessario avere una visione complessiva?
A prima vista questi tre temi possono sembrare non interdipendenti e invece sono intimamente legati: la cura della Casa comune dev’essere il faro che illumina il nuovo modello economico da implementare e il futuro dipende da entrambi e dal modo in cui ci si prenderà cura del grido della Terra e da come l’economia saprà rinnovarsi e farsi carico delle fragilità. Francesco, quando riconosce che “tutto è connesso”, sottolinea che tutte le creature vivono in connessione e che la guerra fra creature è sterile e non reca vantaggi. Non si regge nemmeno la mentalità predatoria dell’uomo nei confronti del Creato che tenta di “estrarre” quanto possibile perché, in fondo, se le materie sono lì è perché qualcuno debba giovarne. San Bonaventura scriveva che il creato è stato voluto in primis per rendere gloria a Dio, solo in seconda battuta per le necessità dell’uomo. Il rendere gloria fa del Creato una grande orchestra i cui suoni compongono una melodia varia ma non dissonante. Allora perché l’uomo stona e non è capace di empatia e di armonia con le altre creature? Perché crea modelli e sistemi economici che fagocitano risorse e producono scarti? Occorre dunque un ritorno all’armonia e all’unità e non deve fermarci lo spauracchio che un nuovo sistema economico, privo dei combustili fossili, possa bruciare tanti posti di lavoro senza crearne di nuovi. Mettere la cura dell’ambiente contro il lavoro non ha molto senso poiché secondo gli esperti nasceranno tanti nuovi comparti lavorativi e occorreranno nuove professionalità e nuovi profili. Basti pensare ai posti di lavoro generati dalle energie rinnovabili e dai piani di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici che produrranno lavoro diffuso e capillare. L’inevitabile e improcrastinabile cambiamento del modello economico legherà sempre più cura del Creato e lavoro perché quest’ultimo dovrà necessariamente essere funzionale alla cura della Casa comune.
E il futuro?
Non vi sarà futuro, per la specie umana, se la Casa comune non sarà salvaguardata e se le attività umane non saranno caratterizzate da questa priorità. Il futuro non è qualcosa di vago e indefinito: sono i nostri figli, i nostri nipoti con le loro aspirazioni, i loro sogni e la loro capacità di innovare con responsabilità e creatività. Senza questa visione unitaria non si va lontano e ben venga una riflessione approfondita su questo legame: non c’è cura della Casa comune senza lavoro appropriato e non c’è futuro senza un sistema economico e lavorativo capace di farsi carico di tutte le fragilità.
In passato le Settimane sociali si sono anche occupate di questioni agrarie, ma ora è la prima volta che ci si concentra sul tema più ampio dell’ambiente…
A cinque anni dalla pubblicazione della Laudato si’, la Chiesa italiana non poteva non farsi carico del grido della Terra e del grido dei poveri. La pandemia ci ha fatto piombare in un senso di precarietà che il frastuono godereccio ci aveva fatto dimenticare. Gli scienziati ci ricordano che il tempo per invertire la rotta è quasi terminato. Certamente è una novità il programma della Settimana sociale ma il tema dell’ambiente, dal pontificato di Giovanni Paolo II, è sempre stato un pensiero costante. Al termine del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II si chiedeva: può un cristiano rimanere indifferente di fronte al profilarsi di un dissesto ecologico? Il cristiano deve sentirsi responsabile di ciò che accade e anche di ciò che potrebbe accadere, adottando quando necessario il principio di precauzione. Sono oramai trent’anni che gli scienziati ci dicono che i cambiamenti climatici sconvolgeranno la vita del pianeta mettendo a rischio la biodiversità, alzando il livello dei mari, portando desertificazione ed eventi avversi di grande intensità. Cosa aspettare ancora? Papa Francesco ci chiede nella Laudato si’ di non accontentarci di una ecologia apparente e di non sonnecchiare aspettando che siano gli altri a dover agire.
Quale può essere il contributo di novità che possono portare i cattolici per la custodia del Creato?
Ci sono delle grandi sfide per i cattolici all’interno della Chiesa e al di fuori di essa. All’interno credo che l’apporto più significativo possa essere la formazione in tutti i luoghi deputati: parrocchie, università, seminari, centri di aggregazione. Sono ancora pochi i testi per una catechesi che parta dalle creature per raggiungere il Creatore. La stessa preghiera per il Creato è poco sentita. Sono altrettanto poche le strutture che hanno adottato criteri di sostenibilità per l’energia, l’efficientamento degli edifici, la loro ristrutturazione o la loro nuova costruzione. Nel mondo i cattolici devono diventare lievito, luce e sale diffondendo la consapevolezza della presenza dell’impronta di Dio in ogni creatura, della bellezza come valore rigenerativo, del valore della giustizia sociale e di quella ambientale e dando l’esempio con l’adozione di stili di vita rispettosi della Casa comune.
Stiamo iniziando a uscire dal lungo periodo di crisi causata dal Covid: cosa ci ha insegnato la pandemia?
A volte penso che il Creatore si sia divertito nel rendere il Creato interdipendente: non esiste essere, di qualsiasi specie, che possa ritenersi autosufficiente. Viviamo di relazioni e dipendiamo dagli altri anche se la nostra autoreferenzialità ci fa credere il contrario. La Casa comune, che ci ospita, ci protegge e ci nutre, può apparirci ostile, come si è avvertito durante la pandemia, ma la Terra è in sofferenza e ha bisogno di rigenerarsi e non le diamo tempo e modo di poterlo fare. Credo che la lezione della pandemia, oltre a ricordarci la nostra piccolezza e la nostra precarietà, ci abbia insegnato che occorre mettersi in ascolto del grido della Terra e del grido dei poveri.
Greenaccord ha promosso a Bari il XVI Forum nazionale dell’informazione cattolica per la custodia del Creato sul tema “Nessuno si salva da solo. Dalla Laudato si’ alla Fratelli tutti per un nuovo rinascimento sociale ed ecologico”. In che modo le due encicliche del Papa ci possono aiutare in questo cammino di rinascita?
La frase scelta “nessuno si salva da solo” riassume perfettamente la sintesi tra le due encicliche: siamo legati profondamente alla vita delle altre creature e siamo legati intimamente ai fratelli con i quali condividiamo il nostro passaggio sulla terra. Rinascere significa, pertanto, recuperare un rapporto armonico con il Creato e con le persone che incrociano la nostra vita. San Francesco definiva fratelli e sorelle le creature e gli elementi della natura ma nello stesso tempo manifestava la stessa fratellanza quando abbracciava il lebbroso: le fragilità hanno tutte bisogno della nostra cura.
Come guardare al futuro con fiducia?
Dal Forum è emerso che la transizione ecologica è indispensabile per un futuro di speranza ma, oltre agli investimenti, necessita della consapevolezza che tale passaggio – che implica l’abbandono del sistema economico basato sullo sfruttamento delle risorse e sui fossili – non sarà indolore perché ci saranno delle rinunce e dei sacrifici da dover affrontare ma il tutto è nell’ottica di realizzare “il pianeta che speriamo”. Tale fine, che rappresenta il sogno di molti, dev’essere quello che sostiene la “conversione ecologica” da intraprendere e che ci sostiene nei momenti di difficoltà.
Quanto la stampa cattolica può contribuire per una nuova coscienza ecologica?
I giornalisti saranno chiamati a sostenere, incoraggiare e rilanciare la transizione ecologica e gli inevitabili momenti di difficoltà che si presenteranno: il loro sostegno sarà dirimente ma occorre sensibilità, preparazione ed entusiasmo. Come Greenaccord sostiene, i giornalisti saranno chiamati ad essere le “sentinelle” del Creato, vigili e pronte a indicare la via maestra da percorrere.