Inaugurazione dell'Anno accademico con la Messa presieduta dall'Arcivescovo in Sant'Ambrogio e la cerimonia in Aula magna: discorso del rettore Anelli, saluto di monsignor Delpini e prolusione del cardinale Ravasi
di Annamaria
BRACCINI
Un bilancio positivo, che parte dai numeri – con un aumento delle immatricolazioni del 5,1% per un totale di 13.269 unità – e dai progetti, come i 16 di ricerca promossi dall’Ateneo, ma che parla, soprattutto, di una capacità di affrontare la sfida culturale in atto e la formazione delle giovani generazioni, con «una conoscenza di lungo periodo». Anche perché, tra «quei mestieri che cambieranno e che saranno esposti a una severa selezione, c’è anche proprio quello dell’Università». A dirlo, nel suo discorso per l’inaugurazione dell’Anno accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è il rettore Franco Anelli. Nell’Aula Magna gremita – presente il cardinale Gianfranco Ravasi, che pronuncia dopo poco la Prolusione – ci sono l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini, il Senato accademico, docenti e studenti, autorità militari e civili, tra cui il prefetto Lamorgese, il questore Cardona e la vicesindaco di Milano Scavuzzo.
La Messa in Sant’Ambrogio
Anche per la Cattolica, la seconda Università in Italia, il momento è di snodo e, mai come in un luogo di formazione “alta” e che pure non vuole essere elitaria, lo si percepisce bene. Non a caso monsignor Delpini, nella celebrazione eucaristica da lui presieduta nella Basilica di Sant’Ambrogio – concelebrata dall’Assistente ecclesiastico generale, monsignor Claudio Giuliodori, da altri assistenti e sacerdoti docenti -, parafrasando il Vangelo di Matteo (nella parabola delle Vergini sagge e stolte) dice: «Occorre la pratica della vigilanza proporzionata ai tempi». «Dobbiamo curare di avere abbastanza libertà e prontezza per non perdere l’occasione propizia, per cogliere il momento di grazia, che è l’oggi – aggiunge -. La prontezza che ascolta la parola che oggi Dio ci rivolge con la voce dello studente che cerca risposte, con la voce dei compagni di studio che chiedono collaborazione, con la voce degli eventi e delle sfide che irrompono dal presente inquieto e drammatico».
L’analisi del Rettore
Chiaro il richiamo all’Ateneo che, pur con indubitabili successi è, come tutto il mondo della scuola e universitario oggi, in difficoltà. Problemi che il Rettore non si nasconde, anche se l’internazionalizzazione ha portato la Cattolica a guadagnare posizioni nell’Academic Reputation e a un buon posizionamento nelle 12 aree di competenza dell’Ateneo che, per rafforzare ulteriormente la ricerca istituzionale, ha destinato risorse specifiche pari a 350 mila euro per il prossimo triennio. Inoltre, nasce un’ottava Alta scuola sulla Giustizia penale, che si aggiunge quest’anno alle 7 già esistenti. Senza dimenticare il nodo della sede presso la Caserma Montello: «Siamo in attesa che, come stabilito, si realizzino entro la fine del 2017 le condizioni per avviare i lavori nella Caserma, Su tale edificio, non appena ci sarà chiesto, siamo pronti a presentare un progetto esecutivo», spiega Anelli.
Insomma, tutto quello che occorre per un’Università che è nel cuore del Paese e che nel rapporto con la Chiesa italiana e gli Arcivescovi di Milano, da sempre, continua a costruire «sapere sapiente», per usare una famosa espressione del fondatore padre Gemelli. Per questo dal rettore Anelli viene anche il ringraziamento al cardinale Scola e al cardinale Tettamanzi (al quale verrà intitolata un’Aula, annuncia), quali Arcivescovi e presidenti dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, Ente fondatore dell’Ateneo. E proprio in questa sua veste porta il suo saluto monsignor Delpini.
Il saluto dell’Arcivescovo: una vocazione alta e profetica
«Parlare di un’Università Cattolica non è né una tautologia, né un ossimoro o una contraddizione, ma è possibile – dice Delpini -. All’inizio di questo Anno accademico desidero incoraggiare tutte le componenti dell’UC ad affrontare con buona volontà, intelligenza e fierezza l’impegno che è richiesto. La denominazione di Università Cattolica è, infatti, la dichiarazione di un’intenzione a rispondere a una vocazione alta e profetica, a una proposta di percorso originale e promettente. Auguro all’Università di essere Cattolica perché corrisponde alla sua vocazione, a un percorso che contribuisce, con la proposta educativa, il rigore delle verifiche e la qualità dell’insegnamento, alla formazione di uomini e donne in grado di affrontare le sfide della vita e le responsabilità professionali. Auguro all’Università di essere Cattolica perché in ogni ambito di ricerca e di insegnamento il confronto con la tradizione del pensiero cristiano e con il magistero della Chiesa si riveli fecondo di bene. Auguro all’Università di essere Cattolica perché offre un ambiente in cui si mette al centro il rispetto per la persona. Creare un ambiente universitario non è realizzare qualche normativa, è compito e responsabilità di tutti, in un’alleanza, tra le diverse componenti, che sia rispettosa dei ruoli e insieme disponibile a una condivisione fraterna. L’Università non è una prestazione di servizi, ma un luogo comunitario».
Il pensiero va anche alla Chiesa italiana: «È certo che la Cattolica rappresenta una straordinaria possibilità di offrire strumenti per interpretare la realtà, per ripensare la tradizione cristiana e trarne inedite ricchezze, per approntare strumenti per orientare il futuro. La Chiesa italiana dovrebbe attingere dall’istituzione accademica cattolica più articolata e organica, preziosi contributi per evitare letture superficiali, impostazioni improvvisate, luoghi comuni, chiacchiere inconcludenti. Per questo auspico che il rapporto della UC con la Chiesa italiana sia valorizzato per affrontare le problematiche incombenti, per offrire documentazione adeguata, per dare supporto alle speranze e chiarezza intelligente ai passi verso il futuro. Esorto tutte le componenti della famiglia universitaria, perché intenda l’espressione di Università Cattolica non come una sigla, ma come una vocazione».
La Prolusione del cardinale Ravasi
«Adamo dove sei?». Parte da questa domanda, titolo anche del suo ultimo saggio (edito da Vita e Pensiero proprio in coincidenza con la giornata di inaugurazione), la prolusione del cardinale Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Si deve ritornare alla radici con la consapevolezza che è una questione capitale, aggiunge, indicando tre ambiti esemplari: la natura umana, il dialogo tra fede e scienza e il tema dell’intelligenza artificiale: «Riguardo al primo contesto, avremmo bisogno di una riflessione da parte della comunità accademica per entrare nelle macerie lasciate da un orizzonte culturale fluido. Pensiamo per esempio alla questione del gender». Così come l’iniziativa promossa da Ravasi stesso con “Il Cortile dei Gentili”, ciò che si propone di indagare, allora, è cosa sia la natura umana e come la domanda posta dal Libro della Genesi sia più che mai attuale.
Ancora più difficile il dialogo interrotto con la scienza, con la genetica, con la sua ingegneria: «Se si interviene pesantemente sul Dna saremo ancora l’homo sapiens sapiens? Quale sarà il rapporto tra gli individui e gli organismi modificati? Se ci si limita a un meccanicismo, che ne sarà della libertà e della simbolicità?». Anche perché «l’intelligenza artificiale “forte”, soprattutto nelle sue forme più sofisticate, pone problemi gravissimi sul versante etico». Da qui il tema dell’Infosfera con i social e i new media, «che prima si vedeva in modo ottimistico, mentre ora ci siamo accorti che, tendenzialmente, ha mutato il contesto relazionale e l’approccio all’essere e all’esistere attraverso le grandi corporazioni di oggi, come Google o Facebook». Per questo è necessaria un’interconnessione, ossia, per un’Università, «una multidisciplinarietà e, anzi, una trans-disciplinarietà che, senza rinunciare agli statuti specifici delle singole scienze, cerchi di trasferire esiti dall’uno all’altro campo». «La tecnologia da sola non basta, è il matrimonio tra la scienza e le discipline umanistiche che ci fa sorgere un canto nel cuore», diceva Steve Jobs, che Ravasi cita. Quel “canto” capace di tracciare una strada, fatta di punti da unire, non solo guardando avanti, ma anche indietro, al tesoro della nostra storia e della tradizione.