Sono trascorsi trent'anni dalla morte e novanta dall'ordinazione sacerdotale del teologo e vescovo ausiliare ambrosiano, consigliere personale di Paolo VI e tra i preparatori del Concilio: i molti aspetti di un servizio alla Chiesa svolto sempre con saggezza ed equilibrio
di Claudio
STERCAL
«Un grande maestro, che è stato anche mio maestro, Mons. Carlo Figini (1883-1967), soleva terminare le sue lezioni di teologia ai discepoli prossimi al sacerdozio con queste parole: “La teologia non è altro che il buon senso applicato alla fede. Se un giorno trovaste che la teologia non è d’accordo col buon senso, dubitate della teologia, non dubitate mai del buon senso”» (C. Colombo, Il compito della teologia, Milano 1983, p. 15).
Con queste parole, indubbiamente coraggiose, monsignor Carlo Colombo (Olginate, 13 aprile 1909 – Milano, 11 febbraio 1991) inizia, nel 1983, quello che forse è il suo scritto più ampio e organico, il volume Il compito della teologia, pubblicato in occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale (19 settembre 1931). Un volume che si propone non come uno «studio sistematico», ma come «una serie di riflessioni ordinate […] approfondite lungo una vita intera» (p. 11).
Forse per temperare il ruolo attribuito al “buon senso”, Carlo Colombo precisa che esso può essere interpretato anche come «buon senso della Chiesa», cioè come «il senso della fede», nella convinzione che «una teologia che non si accordasse con la fede vissuta della Chiesa sarebbe una teologia sospetta e probabilmente erronea, non sarebbe una buona teologia» (p. 15).
Cosa dire? Sia che il “buon senso” venga individuato nella “sapienza popolare” o che venga identificato con la “fede della Chiesa”, si deve sottolineare il coraggio o, forse, più semplicemente la saggezza e l’equilibrio con i quali Carlo Colombo, nella piena maturità del suo percorso intellettuale e pastorale – dal 1964 era vescovo ausiliare della Diocesi di Milano -, riconosce il valore della teologia, i suoi limiti e, soprattutto, il “servizio” che essa è chiamata a rendere a ogni singola persona e alla Chiesa intera.
Un “servizio alla fede” che egli generosamente e intelligentemente ha offerto per tutta la vita: dal 1938 in qualità di professore di teologia dogmatica presso la Pontificia Facoltà teologica di Milano, con sede a Venegono Inferiore, e dal 1962 anche come suo preside; dal 1960, su nomina di papa Giovanni XXIII, come membro della Commissione teologica preparatoria del Concilio Vaticano II; dal 1967 al 1985 come primo preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, con sede a Milano; dal 1964 al 1974 come presidente dell’Istituto di studi superiori “Giuseppe Toniolo”, ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; dal 1969 al 1974 come membro della Commissione Teologica Internazionale.
Un lungo percorso, nel quale egli sembra essere sempre stato guidato dalla convinzione che «il compito del teologo» è «molteplice e complesso», perché svolge una funzione di «mediatore tra la fede della Chiesa e l’umanità nel suo storico divenire». Per questo è chiamato a «trasmettere la fede della Chiesa a tutti», ma deve allo stesso tempo conoscere e comprendere «ogni vera indagine della ragione umana», per approfondire l’«intelligenza delle domande che legittimamente l’uomo pone prima di aderire logicamente alla fede ed alle esigenze di Dio che si rivela in Cristo per tutti gli uomini» (pp. 42-43).
Facile allora intuire perché a trent’anni dalla morte e a novanta dall’ordinazione sacerdotale di monsignor Carlo Colombo – a tutti noto soprattutto per il prestigioso e delicato incarico di consigliere teologico personale di papa Paolo VI – la rilettura dei suoi scritti e il confronto con la sua ricca esperienza di uomo, di credente, di teologo e di pastore sarebbe ancora in grado di illuminare la vita di molti.