L’Arcivescovo ha aperto il convegno promosso da Caritas ambrosiana alla vigilia della Giornata diocesana e della Giornata Mondiale dei poveri. Titolo “La via del Vangelo è la pace”

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di Annamaria Braccini

«La conversione dei cuori, la pratica della ragionevolezza, la condivisione di forme di fraternità e la gioia di costruire la pace». Sono questi i 4 punti-cardine che l’Arcivescovo indica, aprendo il Convegno cosiddetto “della Vigilia”, che precede la Giornata diocesana Caritas e Giornata mondiale dei poveri per la Diocesi di Milano, dal titolo “La via del Vangelo è la pace”. Una pace da costruire che è anche il fulcro della riflessione proposta nell’incontro che si svolge presso la sede di Caritas e via streaming, con gli interventi di più relatori, articolandosi intorno al tema, “Il coraggio di scegliere la pace. Percorsi, strumenti, esperienze nel mondo”. 

Dalla preghiera condivisa, attraverso la lettura della pagina di Vangelo delle Beatitudini e un brano del cardinale Martini, prende avvio il Vescovo. «Preghiamo perché pregare non è soltanto dire parole, ma è mettersi in rapporto con il Signore. Tutte le nostre riflessioni e forme di comunicazione, protesta, proposta, possono ricevere dal rapporto con il Signore una maggior fiducia e ed entrare meglio nella vita delle persone», dice monsignor Delpini che, per la Giornata del 6 novembre, ha inviato un suo messaggio nel quale sottolinea il ruolo della preghiera anche nel contesto della promozione della pace.   

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Beati gli operatori di pace

«C’è stato un tempo di spavento in cui l’allarme terrorizzava il mondo del benessere che vedeva nell’enorme massa di poveri del terzo mondo una minaccia, come a dire che quelli che minacciano la pace sono i poveri, perché hanno fame. Questo primo momento, però, si è risolto presto e i Paesi ricchi hanno continuato ad incrementare il loro benessere e hanno capito che non sono i poveri a minacciarli», scandisce il vescovo Mario definendo la guerra non certamente frutto della povertà che preme, ma «dell’avidità e della menzogna», laddove «i poveri sono convinti dagli avidi che promettono che la situazione cambierà, mandandoli, poi, a combattere». Cosicché «la guerra la decidono i potenti e la combattono i poveri».

Per questo – suggerisce – «il Vangelo delle Beatitudini dice, “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”, perché non basta combattere avidità e menzogna, ma occorre (come si allude nella pagina di Matteo) una scelta di vita che non si accontenta di protestare contro la guerra, piangendo i morti e i disastri che causa. La beatitudine parla di un’opera di pace che è azione positiva che si riconosce come opera di Dio che i suoi figli possono compiere».

La conversione e la ragionevolezza

Da qui una sorta di premessa sul fondamento della pace per i cristiani, rivolta dall’Arcivescovo ai tanti presenti e a coloro che seguono da remoto. «Dobbiamo volgere lo sguardo al Figlio di Dio, Gesù, che versando il suo sangue per tutti, abbattendo così i muri e dando origine il popolo nuovo, si è rivelato la nostra pace. E, dunque, la Chiesa dalle genti è frutto suo e, anche se imperfetta, è profezia della nuova Gerusalemme. Per noi essere operatori di pace significa essere sulla strada del Figlio di Dio».

Una strada – questa – che ha «alcuni punti caratteristici, a partire dalla chiamata alla conversione, per avere un cuore nuovo e dare speranza all’umanità. La conversione è la prima parola di Gesù e lo è anche degli operatori di pace».

Poi, «la pratica della ragionevolezza». «La storia continuamente conferma la constatazione che la guerra è un’idiozia e una follia: quindi, operare la pace significa restituire all’umanità buone ragioni per avere fiducia in se stessa, andando oltre le forme di litigio che, a ogni livello da quello familiare a quello del rapporto tra Stati, sono un’irragionevolezza e frutto dell’emotività».

La fraternità e la gioia di edificare la pace

Terzo passo, «le forme di fraternità che vanno costruite dal basso nella vita quotidiana dei gruppi e delle associazioni, per arrivare, coltivando stima reciproca, al desiderio dell’incontro nella verità dell’appartenenza all’unica fraternità. La condivisione dell’annuncio del Regno di Dio è una promessa affidabile perché convince a mettersi in cammino».  

Infine, «la gioia».

«Essere arrabbiati per la guerra, desolati per i danni, preoccupati per le consegne, sono sentimenti naturali e spontanei, eppure ci viene chiesto un passo più audace», spiega il vescovo Mario. «È la gioia di costruire la pace con la testimonianza di una beatitudine che non dipende dal risultato, ma dall’affidarsi. La gioia è altrettanto necessaria come l’operare. La beatitudine di chi opera per la pace non sia solo la promessa di un compimento oltre la storia, ma la grazia di vivere bene, imitando il Signore».  

Come un suggello e una consegna la conclusione dell’Arcivescovo. «Beati voi che preferite opere di costruzione piuttosto che lo scetticismo della rinuncia o la passione della protesta. Questa è l’opera di Dio: che ci sia pace, che noi si sia fratelli tutti con la gioia che ci rende convinti che la strada è giusta non perché porta al trionfo, ma perché è vissuta in una comunione che salva».

Il Convegno

Diversi gli interventi successivi, ispirati sempre la tema della pace in un tempo di “terza guerra mondiale a pezzi” (per usare l’espressione di papa Francesco), seguiti da una Tavola Rotonda dedicata all’attualità dell’obiezione di coscienza. A concludere la mattinata è monsignor Luca Bressan, vicario episcopale di Settore e presidente della Fondazione Caritas ambrosiana che conferisce il mandato agli operatori pastorali della carità della Diocesi.  Che, unitamente a tutta la Chiesa ambrosiana, vivranno nelle parrocchie e comunità, la Giornata diocesana Caritas 2022, la cui raccolta è finalizzata a sostenere interventi per contrastare la povertà energetica, anche attraverso l’iniziativa “Bolletta sospesa” (info www.chiesadimilano.it)

«I conflitti ci sono, ma c’è un modo per affrontarli a livello personale e nella comunità cristiana orientandoli verso qualcosa di costruttivo», nota Luciano Gualzetti, direttore di Caritas ambrosiana. «Occorre fare questo anche in un contesto più ampio, non dando per scontato che l’unica via sia quella delle armi o del cinismo. Noi crediamo tenacemente che una pace sia possibile facendo tacere le armi e curando, a livello mondiale, le condizioni perché non si ricreino i germi di guerra. C’è un’alternativa alla corsa agli armamenti, all’esercito come unico strumento per regolare le situazioni. Ricordiamo l’impegno, sancito dal convegno nazionale Caritas del 1976, per l’obiezione di coscienza, la scelta della cooperazione e del multilateralismo».

 

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