I quattro punti nodali del magistero di Joseph Ratzinger nella “rilettura” del Vicario episcopale
di Annamaria
Braccini
Qual è il lascito spirituale, teologico e magisteriale di papa Benedetto XVI? A rispondere è il vicario episcopale e teologo, monsignor Luca Bressan, per il quale sono quattro i punti principali del magistero ratzingeriano: «Dio al centro; la sfida della fede e della sua trasmissione; l’attenzione a chi fatica a credere e la cura dell’Europa come compito».
Il primo cardine non può che essere la centralità di Dio…
Dio al centro, a mio parere, è stato proprio il punto forte di Joseph Ratzinger, come ha evidenziato anche il cardinale Ravasi che conosceva bene il Papa emerito. In un momento nel quale i cambiamenti culturali hanno portato la Chiesa a interrogarsi e a rivedere molte delle sue forme, la preoccupazione di Ratzinger era che l’esperienza cristiana e quella ecclesiale non si staccassero, per così dire, dalla relazione con Dio e continuassero a incontrarlo nella celebrazione e nei Sacramenti. Nasce da qui anche la sua attenzione alla liturgia. Il rischio, semmai, come Benedetto disse più volte anche all’inizio del suo Pontificato, era che la Chiesa si autosecolarizzasse per una comprensibile e giusta attenzione a tutti i compiti e agli impegni sociali a cui è chiamata, sottostimando – però, in realtà – il ruolo della preghiera e del legame con Dio. Ratzinger ha sottolineato questo aspetto sino alla fine, quando segnalava che la Chiesa non è una Ong, ma una realtà che ha il compito di permettere a tutti di vivere l’incontro con Dio. È ciò che si legge all’inizio dell’enciclica Deus caritas est: Dio non è un’idea o una dottrina, ma un’esperienza, una relazione, un incontro d’amore.
Il secondo punto?
Si tratta dell’importanza sempre da lui attribuita al Catechismo della Chiesa cattolica, già quando era prefetto della Congregazione della Dottrina della fede. La paura era che il cambiamento in atto sottraesse ai cristiani e alla Chiesa gli strumenti culturali per poter affermare la fede e la sua credibilità. Istituì l’Anno della fede e il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e la Trasmissione della fede, seguendo e proponendo l’idea del Dio al centro e per rispondere a questo secondo tema. La questione è come trovare oggi gli strumenti – quindi parole, linguaggi, concetti adeguati – per poter dire e rendere intellegibile l’esperienza del Dio di Gesù Cristo agli uomini, alle donne del Terzo millennio e alle giovani generazioni.
In tale contesto rientra anche l’attenzione a chi non crede?
Sì. Il Papa si accorse dell’importanza di riconoscere, e di dare quindi dignità, a quelle persone che non si riconoscono nel Dio di Cristo o non aderiscono alla fede cristiana. Lo testimoniò nella visita apostolica del 2009 nella Repubblica Ceca quando, confrontandosi con una nazione a forte tasso di secolarizzazione e di agnosticismo dichiarato, disse di essere in quella terra non certo per fare proselitismo, ma semplicemente per spingere a porsi domande sulla ricerca di Dio. Volle l’iniziativa del “Cortile dei gentili” per questo, per trovare spazi dentro la Chiesa che permettessero un dialogo serio sulle ragioni del vivere, sul senso della storia e dell’esistenza.
Infine, perché l’Europa?
L’ultima conferenza che Ratzinger tenne, quale Prefetto della Congregazione della Dottrina della fede, fu su san Benedetto e l’Europa, avendo la convinzione che vi fosse un compito preciso per il continente europeo che ha preso la sua forma dall’esperienza cristiana. Compito che era ed è mostrare le positive conseguenze antropologiche e culturali di questa stessa esperienza. Ciò lo si può fare solo con e in un’Europa unita, perché le singole nazioni, anche a livello ecclesiale, rischiano di contrapporsi: invece esiste, nell’unità, la possibilità di far vedere al mondo che cosa significhi coltivare uno spazio culturale e politico con valori quali l’idea di persona, di solidarietà e, quindi, anche di libertà personale e religiosa che sono tipici del pensiero cristiano.