L’operatore dell’area stranieri di Caritas Ambrosiana critico sulla decisione della Prefettura di liberare posti in vista dei nuovi arrivi a scapito di chi ha permessi di soggiorno per motivi umanitari. In Diocesi accolte al momento 1450 persone, un centinaio di altre parrocchie pronte ad aprire le porte

di Pino NARDI

Luca Bettinelli

La Chiesa ambrosiana è in prima linea a dare risposte concrete di fronte al fenomeno strutturale dei migranti, in particolare dell’arrivo dei profughi che scappano da guerre, persecuzioni e fame. Attualmente parrocchie, enti diocesani e religiosi, cooperative accolgono 1450 persone in 133 strutture. La Caritas Ambrosiana sta conducendo ancora il censimento: al 30 maggio hanno risposto 200 parrocchie e 12 Comunità pastorali; di queste sono 61 già impegnate nell’accoglienza, un altro centinaio sono disponibili a farlo. Tuttavia, in previsione dei nuovi arrivi, la Prefettura di Milano ha indicato di liberare posti mettendo alla porta chi ha “solo” un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Una scelta che suscita perplessità. Come sostiene Luca Bettinelli, area stranieri della Caritas ambrosiana.

Come valutate la comunicazione della Prefettura?
È una situazione complicata, per cui non è facile la gestione. Si cerca di puntare alla qualità dell’accoglienza e fare in modo che queste persone possano diventare autonome il prima possibile. Quindi per la necessità di dare spazio ad altri è poco lungimirante revocare l’accoglienza a chi ha già un percorso costruito in Italia e sta cercando di portarlo avanti. Si rischia di buttare all’aria tutto quello che è stato fatto.

Una situazione un po’ paradossale…
Certo i profughi continuano ad arrivare. Perciò bisognerebbe agire sulle cause, sui conflitti, su cooperazione e sviluppo. Ma anche sui viaggi: giustamente ci scandalizziamo per i naufragi, però prendiamo in carico le persone dopo e non prima. Bisogna puntare invece sui corridoi umanitari per evitare che i profughi finiscano nelle mani dei trafficanti. Arrivati in Italia e in Europa vengono accolti. Ma cosa vuol dire? Possono stare in Italia in un centro di accoglienza per sei, otto mesi, un anno e poi si devono arrangiare. È accoglienza questa? O forse lo è aiutandoli a inserirsi nella società italiana ed europea, vivendo in condizioni di normalità, avendo un lavoro, potendosi pagare un affitto, mandando i figli a scuola? Riconoscere un permesso di soggiorno e poi dire «adesso arrangiati» lascia perplessi.

Come si sta muovendo la Caritas?
Non si butta per strada nessuno. La disposizione della Prefettura riguarda solamente i cosiddetti Cas (Centri di accoglienza straordinari), a gestione prefettizia. Al momento la questione delle revoche delle accoglienze ha interessato solo marginalmente le persone nei nostri centri (circa 500). Dove è accaduto, in un paio di casi, si cerca di fare accompagnamenti all’uscita quando c’è un’alternativa. Per ora li abbiamo ancora in accoglienza a spese nostre.

Rispetto agli ultimi sbarchi, sono previsti già altri arrivi a Milano…
Questa fame di posti di accoglienza è perdurante nel tempo. È sì legata agli sbarchi, eppure continuiamo a definire emergenza quello che invece è un fenomeno strutturale.

La Chiesa è in prima linea. Lo stesso cardinale Scola è intervenuto ancora nei giorni scorsi in modo deciso sul dovere dell’accoglienza e sull’impegno delle parrocchie…
Come Caritas stiamo battendo a tappeto le parrocchie della Diocesi continuando a raccogliere le disponibilità a mettersi in gioco, a dare spazi per l’accoglienza. Un impegno secondo il modello della buona accoglienza, che non è semplicemente un letto e un piatto caldo, ma è un lavoro verso l’autonomia delle persone.

 

 

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